Al centro dell’attenzione per il valore di ciò che custodiscono, i data center sono nei pensieri di molti anche per via del loro impatto ambientale, in particolare in termini di energia, acqua e calore da “smaltire”.
Soluzioni, proposte e idee non mancano, come non mancano anche report che le “stroncano” o le incoraggiano. In questo clima vivace e proattivo, ma non privo di contraddizioni e contrordini, ogni Paese che mira a migliorare le proprie performance in termini di ESG si trova a dover fare delle scelte coraggiose. Scommettere i soldi dei propri cittadini è una di queste e il Regno Unito ha scelto di investirne alcuni in un progetto di energia verde che mira a utilizzare il calore di scarto dei data center per riscaldare le case vicine.
A ovest di Londra il quartiere a basse emissioni del futuro
Alla guida di questa impresa “green” c’è il neonato Dipartimento per la Sicurezza Energetica e Net Zero (DESNZ), al centro ci sono alcuni distretti della zona ovest di Londra (Hammersmith e Fulham e Brent ed Ealing). Tutto parte da alcuni data center coinvolti dalla Old Oak and Park Royal Development Corporation (OPDC) che svilupperà il progetto collegando alla loro rete di calore 10.000 nuove abitazioni e 250.000 metri quadrati di attività commerciali. Le trattative con le infrastrutture dati sono tuttora in corso, ma la quantità di calore in gioco sembrerebbe sfiorare i 100 GWh.
Per quanto riguarda gli investimenti, il governo britannico sta stanziando 36 milioni di sterline (41,7 milioni di euro) solo per questo singolo progetto. Una scelta che va letta all’interno di una più vasta strategia net zero da 65 milioni di sterline (75,3 milioni di euro) che sosterrà altri quattro piani di energia verde. In UK molto si punta anche sulle pompe di calore, ma i data center restano cruciali. L’obiettivo a lungo termine ufficialmente dichiarato è infatti quello di permettere alle famiglie di tutto il Paese di riscaldare le loro case con calore riciclato a basse emissioni di carbonio, creando al contempo migliaia di nuovi posti di lavoro qualificati.
Non fa abbastanza freddo per fare caldo, forse
A breve termine, la roadmap del progetto costruito attorno ai data center dalla OPDC prevede il lancio di un appalto per trovare un partner che si occupi di progettare e costruire le infrastrutture in modo che nel 2027 le case dei cittadini possano essere già riscaldate grazie ai data center.
Il governo inglese avanza a testa bassa, impermeabile agli scetticismi che il settore ha manifestato di recente in merito alla convenienza economica del recupero del calore di scarto di queste strutture. Secondo un report realizzato da BCS, infatti, il 63% degli operatori diffida di questo tipo di pratica e un buon 80% di questi ritiene che ci sia ancora molto da lavorare, prima di poterla trasformare in progetti concreti e meritevoli di investimenti.
La perplessità principale nasce dal fatto che spesso non si raggiunge una temperatura sufficientemente elevata per assicurare un riscaldamento urbano efficiente, a meno di ricorrere a energivore pompe di calore. C’è chi sostiene che il riutilizzo del calore di scarto dei data center sia quindi da prendere in considerazione solo in Paesi dai climi freddi, più freddi di quello londinese. Si tratta di un’opinione emersa dal report dell’Uptime Institute, ma che il Regno Unito non è l’unico ad aver scelto di ignorare. Esistono infatti altri progetti analoghi a quello lanciato a Londra, oltre che in Finlandia, anche nei Paesi Bassi, nei pressi del distretto di Groningen. Un’altra zona non mediterranea, ma nemmeno dal clima scandinavo, dove i data center non hanno che da dimostrare di cosa possono o non possono essere capaci.