È evidente che la domanda di semiconduttori aumenterà in modo significativo entro il 2030: sono elementi fondamentali per la crescita economica e la sicurezza nazionale. La lucida consapevolezza del loro valore, negli Stati Uniti si è tradotta nel Chips and Science Act già nel 2022. Questa massiccia iniziativa per rafforzare la capacità produttiva del settore a livello nazionale rischia però di restare inefficace, nonostante i 39 miliardi di dollari sbloccati per convincere i produttori di chip a insediarsi o a espandere la propria presenza sul territorio americano con sussidi, agevolazioni fiscali e altri incentivi.
I soldi non bastano, non solo per la felicità ma anche per la serenità del settore IT: servono talenti e competenze perché l’ACT diventi efficace. Ne aumenterà continuamente la domanda e, molto probabilmente, non troverà una pronta ed esaustiva risposta all’interno dei confini USA.
Sempre più lavoro, sempre meno lavoratori
L’allarme è custodito all’interno di un report realizzato dalla Semiconductor Industry Association (SIA). In questo documento sul presente e sul futuro dell’industria dei semiconduttori si prevede un aumento di circa 115.000 posti di lavoro entro il 2030, passando dagli attuali 345.000 a circa 460.000 disponibili, con una crescita pari al 33%.
Sarebbe un’ottima notizia dal punto di vista occupazionale, se la domanda incrociasse l’offerta. Purtroppo, invece, secondo SIA il 58% dei nuovi posti previsti e in particolare l’80% di quelli tecnici (67.000) rischiano di non essere coperti se resteranno gli attuali tassi di completamento dei corsi di laurea STEM inerenti.
Questa preoccupante carenza riguarderà per il 39% tecnici, per il 35% ingegneri e informatici e per il 26% ingegneri con master o dottorato. Sarebbe quindi questa la composizione della forza lavoro che gli Stati Uniti dovranno formare prima della fine del decennio, per garantire che il settore non subisca una brusca frenata.
Analisti a parte, le aziende produttrici di chip sono tra le prime ad aver avvertito questo incombente pericolo e hanno già intrapreso partnership di lunga data e in espansione con community, college e scuole tecniche, programmi di apprendistato, università e laboratori e reti educative regionali. Dai numeri “proiettati” dal report sul futuro prossimo del settore, però, è evidente che va messa una marcia in più, e non solo da parte loro.
Palla al governo, e non solo per i chip
Una delle prime realtà chiamata a toccare con mano la carenza di risorse umane nel mondo dei chip è stata la taiwanese TSMC che ha dovuto in certi casi ricorrere all’invio di tecnici da Taiwan. E, nonostante ciò, negli Stati Uniti ha accumulato un ritardo di un anno rispetto alla propria tabella di marcia. Per questo motivo, la si vede collaborare con le università, i community college e la National Science Foundation per creare una pipeline di talenti e futuri lavoratori.
Non è da meno Intel che, anche attraverso i suoi partner e fornitori, promuove formazione e programmi di apprendistato, mettendo in campo iniziative coraggiose nel tentativo di attrarre nuova forza lavoro con alte retribuzioni, benefit e programmi di sicurezza ambiziosi. Similmente, Micron persegue i propri piani per espandere la programmazione STEM agli studenti delle scuole superiori e delle università, per garantirsi risorse umane adatte al futuro del proprio business.
Lato big tech, non si può parlare di immobilismo, ma la SIA fa esplicitamente notare che, se si vuole far rientrare l’allarme, anche il governo degli Stati Uniti deve collaborare per colmare il divario di competenze che affligge il settore dei semiconduttori.
Con il tipico pragmatismo emergenziale, nel report vengono indicate anche tre raccomandazioni per porre rimedio alla situazione. Per prima cosa, servirebbe rendere più attraente la carriera nei settori tecnici, ingegneristici e informatici. Fatto questo, andrebbero poi create opportunità per un maggior numero di persone, rendendo anche più semplice per gli studenti internazionali rimanere negli Stati Uniti dopo la laurea e trovare lavoro.
Tre compiti ardui ma non impossibili, a patto che aziende e governo lavorino assieme, concretamente e con lungimiranza strategica. È meglio che imparino a farlo, e presto, perché una volta rientrata l’”urgenza chip”, dovranno occuparsi di risolvere lo scompenso generale di talenti IT che minaccia l’intera economia statunitense. Gli esperti prevedono una mancanza di 1,4 milioni di lavoratori entro il 2030.