Nel secondo trimestre del 2017 il mercato dello storage enterprise è cresciuto del 2,9% anno su anno, secondo i dati IDC, e vale 10,8 miliardi di dollari. La capacità di storage complessiva è cresciuta del 16,5% anno su anno, per 65,3 Exabytes (solo nel secondo trimestre). Lo storage su nastro è tutt’ora un segmento che, nonostante se ne sia più volte in passato decretata la fine, gioca un ruolo importante e oltretutto in rinnovata crescita. Perché?
In primo luogo bisogna ricordare che di questa enorme mole di dati, i dati “attivi” (ossia quelli che devono rimanere online e disponibili in real time) non superano il 20/25% (dati ESG, Enterprise Storage Group); il resto è composto da “cold data” che vengono utilizzati molto raramente ma che, spesso per rispondere agli obblighi normativi come è il caso del GDPR, devono comunque essere conservati per un lungo periodo di tempo.
Con la diffusione del cloud storage e con l’evoluzione, in termini capacitivi e di velocità, dei Solid Disk Array e, soprattutto, la loro graduale riduzione di costo, si riteneva che lo storage su nastro sarebbe rapidamente giunto al capolinea. Invece, in questi ultimi anni anche l’archiviazione su nastro ha avuto importanti evoluzioni nella tecnologia LTO (Linear Tape Open), con una moltiplicazione, negli ultimi 6 anni, nelle capacità di storage di 4,8 volte, nella velocità di scrittura di 2 volte e di 100 volte nella data integrity: alla fine del 2017 è stata immessa sul mercato la generazione 8 di LTO con una capacità nativa di 12TB, una velocità di scrittura di 360 MB/s e un BER (bit error rate) di 1×1019.
L’archiviazione su nastro rimane dunque un’opzione assai interessante per qualsiasi azienda. Le grandi imprese la stanno rivalutando (perché economicamente vantaggiosa) per archiviare nel lungo periodo grandi moli di dati, non necessari da “raggiungere rapidamente”. Le realtà di dimensioni inferiori ma pur sempre strutturate, dotate di gestionali che prevedono l’archiviazione su nastro, la considerano un’abitudine ormai consolidata al punto che passare al cloud può rappresentare un investimento eccessivo. “Eppure, nonostante l’obiettivo sia quello di garantire la sicurezza dei dati archiviati – dice Paolo Braggion, Security Manager di Data Storage Security (DSS) – spesso, una volta prodotto il nastro, questo viene conservato in modo inappropriato, in un armadietto o sotto una scrivania dell’ufficio, sottoponendo le cassette al rischio di deterioramento, furto o perdita in caso di incendio o altre calamità”.
Ed è proprio per colmare questa lacuna che Data Storage Security offre i propri servizi. Fondata nel 1983, DSS è un’azienda italiana operativa sul mercato della security da 35 anni e offre servizi di tape vaulting (prelievo, trasporto e conservazione dei nastri di backup in camera corazzata). I caveau di DSS sono ambienti totalmente protetti, il cui accesso è consentito esclusivamente al personale autorizzato. I locali sono dotati di rete di rilevazione fumi collegata a un sistema di spegnimento automatico a gas (Argon) e di una temperatura mantenuta sempre costante per evitare danni ai supporti conservati dovuti a escursioni termiche e accumuli di umidità. “La posizione decentrata delle strutture di DSS rispetto alle sedi dei clienti, normalmente dislocate in prossimità dei grandi centri urbani, garantisce inoltre un’adeguata diversificazione di rischio geografico rispetto a eventi naturali o socio-politici”, ricorda Sara Gocciadoro, Key Account Manager di DSS, che conclude: “Grazie alla nostra esperienza siamo oggi il primo operatore in questo particolare mercato della sicurezza in Italia: la nostra forza è quella di saper offrire servizi su misura ai diversi clienti, garantendo piena sicurezza, accessibile a chiunque”.