Sappiamo che il consumo energetico di un data center deriva sia dall’alimentazione degli apparati, sia dal loro raffreddamento. Tanto che alcuni service provider hanno realizzato i loro nuovi centri nelle regioni artiche, contando che il maggior costo di costruzione degli ambienti, di produzione di energia e di gestione del personale (non a tutti piace l’Alaska) sia più che compensato dal freddo fornito gratis da Madre Natura. E se i nuovi processori consumano di meno, i componenti ad alta densità dei più recenti sistemi scaldano di più (tanto da arrivare all’apparente controsenso di sistemare nei rack apparati supercompatti lasciando poi vuoto un modulo ogni due per facilitare la circolazione dell’aria fredda) per cui il consumo totale d’energia resta elevato ed è la maggior voce di spesa di un centro dati.
Queste problematiche sono note, così come sono note le tendenze in atto nel settore dei sistemi power/cooling (generatori, trasformatori, Ups, pompe, radiatori e quant’altro) sia per migliorare l’efficienza energetica e il rendimento termico dei sistemi stessi come per migliorarne il rendimento operativo una volta installati. Un problema che invece risulta meno trattato e che pure ha un notevole peso sulla cosiddetta ‘impronta energetica’ di un’impresa (che cioè ai costi diretti dell’energia acquistata o prodotta assomma quelli indiretti del suo impatto sull’ambiente), è quello delle attività inerenti alla loro realizzazione ex-novo o al loro potenziamento. Ne vogliamo qui parlare perché sebbene non rientrino nelle competenze per così dire ‘istituzionali’ di un Cio, in quanto estranee alle finalità dell’It di un’impresa, vi incidono per almeno due motivi: primo perché, in quanto legate alla gestione delle facilities e al buon funzionamento dei sistemi, possono rientrare in tutto o in parte nelle responsabilità dell’area Infrastrutture e Operazioni; secondo perché nelle realtà più avanzate dove i costi dei data center vengono correttamente attribuiti alla funzione It, si tratta di spese rilevanti vanno a pesare sui costi totali (capex soprattutto ma anche in parte opex) della funzione It.
Quando i responsabili, quali essi siano, delle infrastrutture fisiche di un data center si trovano a dover realizzare o potenziare i sistemi di alimentazione e raffreddamento si trovano oggi di fronte a una possibile alternativa. Una è quella, tradizionale, di adattare uno spazio disponibile all’interno del sito per sistemarvi i nuovi impianti o, se ciò non è possibile, di costruire un ambiente adatto. L’altra, che si è concretizzata in questi ultimi tempi, è quella di ricorrere a uno o più moduli prefabbricati e preassemblati.
Questi ultimi sono elementi, recentemente realizzati da alcuni fornitori d’infrastrutture fisiche per data center, che comprendono in un singolo blocco sistemi di alimentazione e raffreddamento già montati, integrati e testati in modo da poter essere proposti alle imprese utenti come moduli standard. Il fattore di forma più comunemente associato ai facility module, come d’ora in avanti li chiameremo, è quello del container standard Iso da 40 piedi, cioè lungo 12,2 metri e alto 2,4. Possono però essere forniti come elementi costruttivi di varie misure, per essere inseriti in modo armonico in un edificio modulare, o anche come semplici piattaforme, qualora sia disponibile uno spazio chiuso dove si possano sistemare. In ogni caso, però, ciò che caratterizza il facility module è l’essere di installazione e messa in opera immediata. Tipo ‘plug-in’, si potrebbe dire, se non fosse che in questo caso non si tratta di inserire la spina ma di fornire la presa.
I vantaggi della soluzione modulare
Uno studio destinato ai facility manager di un data center e realizzato da Schneider Electric analizza i fattori di costo di un approccio tradizionale rispetto a quello modulare per la realizzazione di un nuovo gruppo di alimentazione/raffreddamento e a questo ci riferiremo quando, nelle considerazioni a seguire, citeremo dei dati. Naturalmente, perché il confronto sia possibile, bisogna che le caratteristiche degli impianti e i parametri di costo siano paragonabili. Nel caso dello studio citato, e quindi dei dati a seguire, ci si riferisce a un sistema avente capacità di alimentazione e raffreddamento di 500 kW, con gruppo di raffreddamento con economizzatore premontato. Il costo del lavoro è stimato sui parametri degli Stati Uniti per una installazione on-site in un centro suburbano. Non sono compresi i risparmi dei facility module sulla realizzazione di gettate, solette e pilastri né sui materiali di rivestimento e non sono infine considerate le strutture, a valle del facility module, per la distribuzione dell’energia e dell’aria, né ovviamente i rack.
Il confronto tra le strutture del costo iniziale delle due soluzioni è sintetizzato nella figura 1. Come si può vedere la somma dei fattori di spesa porta ad un risparmio del 13% a favore della soluzione modulare dovuto essenzialmente all’abbattimento dei costi di installazione. Infatti, sebbene il puro costo dell’hardware (Ups, scambiatori di calore, pompe, filtri, gruppi di raffreddamento e sistemi antincendio) e del software di controllo sia superiore nei facility modules di circa il 40% a causa della maggior complessità di progettazione e costruzione di un sistema integrato, questo svantaggio è largamente superato dal risparmio in fase di installazione. L’installazione di un modulo, infatti, oltre ad essere di per sé un processo evidentemente più semplice che non quella di impianti separati, comprende la fase di design, intendendo con questo termine lo studio per la sistemazione degli impianti nello spazio ad essi destinato. Si tratta di un lavoro che, nell’approccio tradizionale, richiede numerose riunioni con fornitori e installatori e il coinvolgimento di più funzioni aziendali (It e servizi generali in primo luogo) con un dispendio di tempo da parte di più persone, e che nell’approccio modulare viene in pratica eliminato, con un risparmio superiore all’80%, riducendosi alla sistemazione del modulo stesso.
Le voci di risparmio
Quanto ai costi di installazione propriamente detti, il risparmio deriva principalmente da due voci. La prima è la connessione dei sistemi di alimentazione e raffreddamento prima tra di loro e poi ai cavi e alle tubature dell’edificio, che nell’approccio tradizionale richiede di progettare e realizzare le relative reti di collegamento elettriche e idrauliche con l’intervento di tecnici specializzati, mentre in quello modulare si riduce all’attacco alle reti di distribuzione dei fornitori di acqua ed energia. La seconda è il project management, ovvero il controllo e coordinamento dell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa utente, che grazie appunto alla semplicità d’installazione, si stima abbattuto del 60%. A questa voce di risparmio va poi aggiunta anche la scarsa invasività dei lavori relativi all’approccio modulare: rispetto alla costruzione di un edificio con la presenza di ruspe, betoniere e martelli pneumatici, la costruzione di una semplice gettata sulla quale una gru calerà il facility module, quasi non incide sulla normale operatività del data center. È un risparmio difficile da valutare ma non trascurabile.
Infine, anche se sinora si è parlato di costi iniziali (capex) la scelta modulare offre anche risparmi di gestione (opex). Lo studio citato (figura 1) riporta un risparmio sul consumo di energia a favore del facility module che viene stimato attorno al 14% per l’alimentazione (1,90 dollari per watt contro 2,20) e attorno al 12% per il raffreddamento (1,75 dollari/watt contro 2,00). Si tratta di risparmi dovuti alla maggior efficienza energetica e termica di sistemi progettati ed integrati in modo ottimale da uno stesso costruttore e non è detto che i valori stimati per gli Usa valgano ovunque. È molto probabile però che almeno per il nostro Paese, notoriamente il più caro in fatto d’energia elettrica, i vantaggi siano anche maggiori, rendendo l’opzione del facility module sempre più interessante da considerare.