MILANO – All’indomani dell’acquisizione di Soasta, una start up di Montain View (California) specializzata in soluzioni analitiche innovative per il testing delle performance dei siti web e per la valutazione dell’impatto di tali prestazioni tecniche sulle KPI di business, Akamai ha organizzato un workshop nella propria sede milanese. “Oggi – ha esordito Craig Adams, Vice President Web Performance dell’azienda – gli utenti accedono a Internet con device molto diversi fra loro”. Il riferimento è, oltre ai pc fissi di casa o della sede dell’azienda in cui si lavora, ai pc portatili e, oggi sempre di più, agli smartphone e ai tablet. Mentre in uno scenario IT ancora poco variegato e dinamico quale quello degli anni Novanta o dei primi anni Duemila poteva essere sufficiente effettuare test e misurazioni da un unico luogo, “adesso, soprattutto con il cloud e il mobile in crescita, diventa più che mai necessario eseguire le misurazioni il più possibile vicino agli end-user”, ha puntualizzato Adams.
Non meraviglia che questa affermazione provenga da un’azienda che si è specializzata proprio nello sviluppare e offrire soluzioni che permettono ai suoi clienti di rendere accessibili i contenuti dei siti e le proprie applicazioni da location più vicine possibili agli utenti finali. L’obiettivo? Ridurre al minimo possibile i tempi di latenza che intercorrono fra quando l’utente digita l’Url di un sito, o clicca (o fa tapping) su un link all’interno di una pagina di tale sito, e quando i contenuti appaiono sullo schermo: sia esso quello di un pc, di una smart tv, di un cellulare o di un tablet.
Il business si gioca fra schermo bianco e rendering della pagina
È all’insegna di questo impegno, e come vedremo non solo questo, che Akamai ha acquisito ad aprile Soasta: “Finora – ha dichiarato Luca Collacciani, Senior Director, Web Performance and Security, Emea – non avevo mai visto soluzioni in grado di fare quello che fanno quelle di Soasta”.
A causa del crescere, nel corso di questi ultimi anni, delle opzioni in fatto di client, sistemi operativi (Windows, Apple iOs, varie distribuzioni Linux), browser (Microsoft Explorer, Apple Safari, Google Chrome, e altri, con le loro diverse versioni utilizzate), tipi di connessione (cavo ethernet, Wi-Fi, fibra Adsl ecc), e all’aumentare delle componenti applicative portate vicino o presso l’utente finale (vedi le app mobile), le aziende stanno sperimentando una crescente difficoltà a tenere sotto controllo tutto ciò che avviene fra front-end, infrastrutture, applicazioni di back-end e processi di business (visualizzazione di una campagna di marketing, analisi – anche comparativa – fra prodotti nel “negozio virtuale”, inserimento dei prodotti e dei servizi nei carrelli e pagamento). Eppure basta un collo di bottiglia nella trasmissione dei contenuti, o un errore nel caricamento di un’applicazione di pagamento online, affinché gli utenti interrompano la sessione (periodo di tempo in cui un end user naviga fra le diverse pagine di uno stesso sito web senza disconnettersi dallo stesso) e provino a cercare il prodotto o il contenuto desiderato su un altro sito.
Le soglie di tolleranza degli utenti nei confronti dei tempi che intercorrono fra l’apparire della pagina bianca, subito dopo aver cliccato su un link, e il comparire (rendering) dei contenuti richiesti o della pagina per finalizzare un’operazione di acquisto tendono a calare. Secondo il report The State of Online Retail Performance – Spring 2017 di Soasta, i render time medi oltre i quali diventa alta la probabilità che avvenga il cosiddetto bounce (abbandono di una sessione per iniziarne un’altra su un sito concorrente) è di 1,5 secondi con i tablet, 1,3 con gli smartphone e 0,9 con un pc. Per Buddy Brewer, Director of Product Management di Soasta, “oggi le metriche del performance management devono essere definite in modo molto granulare, partendo da una conoscenza del contesto nel quale vengono misurate. Se una volta, con un panorama di client limitato, era già un passo avanti identificare i browser utilizzati, oggi non possiamo non tenere conto delle performance richieste dai nuovi device, ma neanche scordarci che c’è ancora una parte di utenti che utilizza dispositivi meno diffusi come gli smartphone BlackBerry o client Linux”. E, inoltre, non si possono non includere nel contesto anche gli obiettivi di business dell’azienda. Solo così si può avverare il desiderio di una gestione olistica di una strategia digitale, dall’ecommerce alla distribuzione di programmi audiovisivi in streaming, fino all’Internet delle Cose (IoT).