I modelli di business aziendali sono vulnerabili a diverse contingenze che, inaspettatamente, possono rendere inefficace le loro logiche di business, interrompendo o addirittura diminuendo i flussi di entrate delle aziende.
Un esempio di queste contingenze è quanto accaduto durante l’epidemia di Covid-19 che ha avuto un impatto notevole sull’economia italiana, causando nel 2020 una riduzione del PIL dell’8,9 per cento. Tuttavia, rispetto al 2019, nel 2020 si sono verificati meno fallimenti e, più in generale, meno uscite dal mercato, una tendenza confermata anche nel 2021. Quali potrebbero essere le ragioni di questo comportamento inaspettato durante la crisi pandemica?
Una possibile ipotesi è che ci siano state fondamentalmente tre cause:
- la sospensione delle istanze di fallimento
- le misure di sostegno alle imprese adottate dal governo italiano in quel periodo (secondo Banca d’Italia)
- l’implementazione di nuovi modelli organizzativi e di business da pare delle aziende per fare fronte alla situazione di crisi 1
Negli anni, diversi gruppi multidisciplinari di studiosi e professionisti hanno cercato di fornire alle aziende gli strumenti e le conoscenze necessarie per aiutarle a prepararsi in modo proattivo e olistico a tutti i tipi di contingenze (Herbane, 2010; Niemimaa, 2015).
In seguito, gli specialisti hanno sostenuto e cercato di inserire la Business Continuity (BC) tra le iniziative strategiche organizzative (ad esempio Herbane, Elliott, & Swartz, 2004; Niemimaa, 2015). In altre parole, la BC si può considerare come strategica all’interno dell’impresa, in quanto “prepara un’organizzazione a preservare il valore derivato dal vantaggio competitivo” (Herbane et al., 2004, p. 439; Sawalha, Anchor, & Meaton, 2015).
Tuttavia, questi approcci tradizionali hanno dei limiti, che sono legati alla storia e alla evoluzione della BC nel tempo.
Da Business Continuity a Business Resilience
Più recentemente, la gestione della Business Continuity si è trasformata, o meglio, è stata inglobata o affiancata dal concetto, più estensivo, di Business Resilience, che è la capacità di un’organizzazione di adattarsi e rispondere ai cambiamenti.
Anche se non esiste una definizione univoca e universalmente accettata di Business Resilience, una organizzazione “business resiliente” conosce in anticipo come affrontare eventi inaspettati, assorbendone gli impatti e individuando i modi più efficienti per continuare a crescere. Le imprese resilienti sono quelle che non solo resistono agli shock esterni, ma sono anche in grado di trasformarli in opportunità di crescita e innovazione.
Ad esempio, alcune aziende, durante l’emergenza causata dal Covid-19 hanno approfittato dell’evento imprevedibile non solo per salvaguardare la loro operatività, ma anche per abilitare modelli moderni di lavoro ibrido, agili e fortemente produttivi, che poi hanno mantenuto al termine dell’emergenza sanitaria.
Come risultato, queste imprese hanno abbattuto i costi (ad es. per il consumo di spazio), possono contare su personale molto più motivato e produttivo, attraggono i migliori talenti e, grazie all’alternanza di lavoro da remoto e in presenza, possono comunque contare su community coese e motivate. Questa è una forma di Business Resilience.
Per rispondere alle nuove minacce, in una situazione di “permacrisis”, caratterizzata dal susseguirsi e sovrapporsi di situazioni di emergenza, la BC, o meglio la Business Resilience, richiede una mentalità diversa e concetti diversi, con un nuovo approccio che distingua tra le attività di BC che si concentrano sulla conservazione del valore e quelle che si concentrano sulla creazione di valore.
Il primo aspetto è quindi comprendere e rivedere il proprio modello di business, riflettendo sulla natura e sulle finalità dell’impresa.
Il concetto di “autopoiesi”
L’impresa dovrebbe essere molto di più di un mezzo per soddisfare il fine di un gruppo di interesse. E se vogliamo provare a fare un passo in avanti nella comprensione delle dinamiche competitive aziendali dobbiamo cominciare a considerare un’azienda come un soggetto cognitivo in sé. Un soggetto cognitivo il cui fine non può essere esterno ad essa e non può non coincidere con la sua stessa esistenza nel tempo attraverso il mantenimento della sua capacità di crearsi e ricrearsi continuamente.
Humberto Maturana e Francisco Varela, due biologi cileni, hanno coniato il termine “autopoiesi” per indicare l’aspetto che più contraddistingue gli esseri viventi: la capacità di autoriprodursi, auto-rigenerarsi continuamente.
Le conseguenze per il management
Considerare le organizzazioni come sistemi viventi comporta una serie di conseguenze molto importanti per il management (A. Cravera, M. Mercati, 2009):
L’obiettivo di ricercare la massima efficienza può determinare un deterioramento delle capacità evolutiva dell’impresa
Paradossalmente, un eccesso di profitto, o di qualunque altro parametro ritenuto importante per l’esistenza dell’azienda, sarebbe considerato come un potenziale pericolo per la capacità auto generativa del sistema.
I KPI in un’impresa sono oggi utilizzati in un’ottica di efficienza, ottimizzazione e massimizzazione. Un miglioramento dei KPI fondamentali dell’azienda è considerato, senza eccezioni, una buona notizia. Ciò non è applicabile per un sistema vivente. Parametri vitali per un organismo quali la pressione arteriosa, il battito cardiaco, la temperatura corporea e l’ossigenazione sanguigna devono al contrario essere interpretati con una logica di equilibrio complessivo.
Se parametri vitali come la pressione o la temperatura corporea continuassero a crescere, un organismo non potrebbe essere considerato sano, ma dovrebbero rimanere entro determinate fasce di valori.
Nello stesso modo, assimilare un’impresa a un soggetto cognitivo, porterebbe a definire parametri vitali che, a differenza dei KPI usati oggi in azienda che migliorano al crescere del loro valore, avrebbero dei range di risultato ottimale in una logica complessiva di omeostasi del sistema. La misura del profitto a cui dovrebbe mirare l’impresa è infatti quella che non intacca le risorse necessarie per la propria evoluzione nel tempo,
Questa rivoluzione porterebbe cambiamenti radicali anche nella società: più investimenti di medio-lungo periodo, meno peso alla finanza e ai comportamenti speculativi, redistribuzione di ricchezza e più coesione tra i vari stakeholders in quanto uniti dall’unico scopo di mantenere elevata la capacità dell’azienda di esistere nel tempo (Cravera, 2015).
Un sistema autopoietico non reagisce in maniera deterministica, quindi è impossibile pensare di gestire un’organizzazione solo con logiche top-down
F. Capra, fisico e teorico dei sistemi, nel suo libro “La scienza della Vita” riporta un esempio illuminante: se si dà un calcio ad una pietra si è in grado di calcolare esattamente l’effetto che avrà, ovvero lo spostamento, l’accelerazione, ecc.
Se qualcuno desse lo stesso calcio ad un sistema vivente, ad esempio un cane, la reazione sarà imprevedibile e dipenderà dalla natura e dalla organizzazione dello stesso: potrà scappare oppure attaccarlo.
Gli organismi evolvono al cosiddetto “margine del caos”, uno stato in cui non si ha né troppo ordine che comporterebbe rigidità, né troppo disordine, che comporterebbe anarchia
Al margine del caos, nei sistemi autopoietici emergono fenomeni emergenti di auto-organizzazione che consentono l’evoluzione naturale del sistema. Gestire un’organizzazione come un sistema vivente significa pertanto abbandonare l’ossessione (e l’illusione) del controllo, sviluppando una cultura dell’autocontrollo diffuso all’interno dell’impresa. L’autocontrollo è il principio alla base dell’auto-organizzazione.
Per usare una metafora, significa sostituire i semafori (i manager controllori) disseminati all’interno dell’organizzazione e sostituirli con delle rotatorie che consentono forme di auto-organizzazione emergenti, e il compito del management è quello di creare gli spazi e le condizioni organizzative di questa continua reinvenzione. (A. Cravera, M. Mercati, 2009).
Il ruolo del manager
In questa nuova visione il manager della complessità diventa un costruttore di contesti. La leadership stessa perde i suoi connotati eroici di guida e di indirizzo tipici della realtà attuale, per prendere una connotazione più maieutica. Il leader è colui che sa governare le dinamiche comunicative e il simbolico al fine di costruire un ambiente che favorisce l’emergere di comportamenti auto-organizzativi finalizzati all’evoluzione autopoietica dell’impresa (Cravera, 2015).
Un esempio di organizzazione autopoietica potrebbe essere rappresentato dai gruppi costituiti dalle banche di Credito Cooperativo, che possiedono le caratteristiche intrinseche di un sistema autopoietico, quali ad esempio:
- Soft network: intendendo con questa descrizione un insieme di banche che mantengono una ampia discrezionalità su tutti gli aspetti gestionali, con un livello di autonomia in proporzione alla loro rischiosità e che condividono alcune impostazioni a livello di riconoscibilità, assortimento e gestione dei servizi.
- Coordinamento e comunicazione: il modello organizzativo dei gruppi di Credito Cooperativo si differenzia dal modello Monarchico o Feudale tipico dei gruppi bancari italiani (definizione in “Pratiche di eccellenza in Test e Manutenzione della Business Continuity”, Rapporto di ricerca Cetif dell’Università Cattolica) in quanto la Capogruppo è una struttura che svolge funzioni di coordinamento, ma soprattutto di servizio e comunicazione (ad es. assicurare l’accesso ai mercati interbancari, di intermediazione dei flussi finanziari, fornitura di servizi di natura operativo-contabile e tecnologico infrastrutturale alle banche affiliate, che detengono la maggioranza del capitale del Gruppo).
- Auto-organizzazione: la comunicazione e l’interscambio continuo tra le banche diventano la base per lo sviluppo di sistemi di autocontrollo per cui siano le stesse banche sul territorio ad esprimere la necessità di un allineamento e quindi del rispetto di certi parametri favorendo così l’attrazione di chi si riconosce in un modello ben identificato.
Autopoiesi e modello inferenziale della comunicazione
La teoria dell’autopoiesi può essere combinata con il modello inferenziale della comunicazione e la teoria della raccolta delle informazioni (Luhmann), per dare un approccio alle informazioni nelle organizzazioni che enfatizza l’azione, l’interazione e l’attenzione piuttosto che l’archiviazione e la trasmissione.
In questo approccio, gli esseri umani sono considerati attivi e attenti nella loro ricerca di informazioni: le informazioni vengono ottenute continuamente mentre si muovono attraverso il loro ambiente o mentre interpretano le implicazioni e le risonanze di ciò che viene loro comunicato. Interagiscono costantemente tra loro, sempre alla ricerca di informazioni e sempre orientati a elaborarne la rilevanza.
Il ruolo della tecnologia
L’aspetto tecnologico può ricoprire un ruolo rilevante per l’attuazione di questa tipologia di comunicazione, che è un elemento determinante per questi nuovi modelli organizzativi. Se da una parte le innovazioni tecnologiche non sono di per sé sufficienti e devono essere accompagnate da un’innovazione del modello di business, non esiste una realtà mediata da una non-tecnologia: questo è uno degli assiomi chiave della filosofia di Max Bense, già ipotizzato dallo scrittore nel 1949.
Adottando i principi dell’autopoiesi, è possibile progettare un’architettura per una rete di archiviazione cellulare delle informazioni: un sistema di archiviazione distribuito e adattivo per i file che consentirebbe alle organizzazioni di tutte le dimensioni di concentrarsi sul lavoro di creazione di valore attraverso la generazione, l’analisi e la manipolazione delle loro informazioni piuttosto che sulla gestione della complessità dell’infrastruttura di archiviazione dei dati sottostante, eliminando architettonicamente tutti i complessi esposti esternamente nell’implementazione e nella manutenzione continua dei loro sistemi di stoccaggio delle informazioni.
Collegando le celle di stoccaggio in un modo nuovo e guidandole con una serie di regole conformi ai solidi risultati della scienza dell’auto-organizzazione, possiamo creare sistemi le cui strutture distintive co-evolvono con le esigenze operative in evoluzione delle organizzazioni. Ad es. ipotizzando ogni cellula appartenenti ad un nodo fisico costituito da un Istituto di Credito e dalla sua rete di connessioni con filiali ed agenzie.
Repliche multiple di file (denominate infware, v. sotto) vengono generate e propagate automaticamente in tutta la rete di archiviazione cellulare, consentendo ai dati dei file di diventare autopoietici: rigenerandosi dove necessario per il ripristino da guasti hardware, software o di rete.
L’architettura sfrutta la commoditizzazione dell’hardware esistente, perché i cicli della CPU, la larghezza di banda della rete e la capacità di archiviazione sono diventati una risorsa abbondante la cui struttura dei costi continua a diminuire nel tempo, mentre l’ultimo bene, l ‘attenzione umana, diventa sempre più scarsa e costosa rispetto alle dimensioni e alla complessità dei requisiti di archiviazione dei dati in rapida evoluzione per le nostre organizzazioni. Progettando sistemi e software in questo modo, si potrebbe ridurre al minimo il rischio che i dati non siano accessibili quando sono più necessari durante i disastri, naturali o di altro tipo.
Le macchine autopoietiche e i nodi di conoscenza: alcuni esempi
Le macchine autopoietiche possono essere costruite utilizzando la rete di conoscenza che consiste in nodi di conoscenza e collegamenti di condivisione delle informazioni con altri nodi di conoscenza.
I nodi di conoscenza collegati tra loro si attivano insieme per gestire i cambiamenti comportamentali nel sistema (G.Morana, R. Mikkilinen).
Ogni nodo di conoscenza contiene hardware, software e “infware”2 che gestisce l’elaborazione delle informazioni e le strutture di comunicazione all’interno del nodo.
Esistono tre tipi di nodi di conoscenza a seconda della natura dell’infware:
- Nodo funzionale autopoietico (AFN): fornisce servizi di elaborazione delle informazioni sui componenti autopoietici. Ogni nodo esegue una serie di funzioni specifiche in base agli input e fornisce output utilizzati da altri nodi di conoscenza.
- Autopoietic Network Node (ANN): Fornisce operazioni su un insieme di nodi di conoscenza per configurare, monitorare e gestire i loro comportamenti in base agli obiettivi a livello di gruppo.
- Digital Genome Node (DGN): un nodo a livello di sistema che configura un insieme di sottoreti autopoietiche, li monitora e li gestisce in base agli obiettivi a livello di sistema.
La Figura sotto mostra un’implementazione di una macchina autopoietica utilizzando le infrastrutture software IaaS e PaaS esistenti insieme ai carichi di lavoro delle applicazioni.
Ogni nodo di conoscenza è specializzato con il suo infware che definisce le strutture di conoscenza che modellano entità/oggetti a valle, le loro relazioni e comportamenti che vengono eseguiti utilizzando software e hardware appropriati.
L’infware contiene le conoscenze per ottenere risorse, configurare, eseguire, monitorare e gestire i componenti a valle in base agli obiettivi a livello di nodo.
Il nodo utilizza strutture di conoscenza che gestiscono i carichi di lavoro delle applicazioni downstream distribuiti utilizzando le procedure IT correnti. L’infware fornisce le conoscenze necessarie per modellare e gestire le strutture software e hardware a valle (G.Morana, R. Mikkilinen).
Architetture di questo tipo sono state recentemente implementate o in fase di realizzazione: un esempio è stato realizzato presso la Golden Gate University, utilizzando un cluster di edge cloud per dimostrare le caratteristiche autopoietiche, implementando la resilienza di un carico di lavoro come un’applicazione web distribuita che fornisce un servizio specifico a molti endpoint raggiunti tramite Internet. La Figura sotto mostra la configurazione di questa macchina autopoietica (M. Burgin, R. Mikkilinen ed altri).
Il carico di lavoro particolare mostrato qui è un’applicazione di controllo ortografico del testo in cui vari utenti creano testo che viene controllato in tempo reale per verificarne l’accuratezza ortografica.
Il cluster edge qui proposto è tipico di molti sistemi cloud che offrono strumenti di configurazione e orchestrazione IaaS e PaaS che vengono utilizzati per implementare vari carichi di lavoro.
Le caratteristiche distintive dei sistemi autopoietici
Tuttavia, le caratteristiche distintive e differenzianti dei sistemi autopoietici che infondono la conoscenza nei modelli di distribuzione, configurazione, monitoraggio e autogestione del carico di lavoro sono le seguenti:
- una gerarchia di gestori dell’Orchestrazione del Servizio Universale (USOM) infonde la sovrapposizione cognitiva utilizzando le strutture di conoscenza che modellano, configurano o scoprono, monitorano e gestiscono le strutture di calcolo fisiche e digitali a valle utilizzando vari sensori e attuatori. Le strutture di conoscenza sono costituite dalle entità a valle con vari attributi con relazioni interne, insieme a comportamenti che verranno eseguiti ogni volta che si verifica un cambiamento di stato.
- ogni USOM è implementato come una macchina strutturale che esegue l’evoluzione della struttura della conoscenza a valle, sincronizzando il modello con le strutture fisiche e digitali gestite utilizzando i sensori e gli attuatori.
- I cambiamenti nello stato nella struttura a valle invocano vari comportamenti che sono codificati nell’USOM per rilevare l’evento di cambiamento, ragionare e determinare l’azione appropriata e agire utilizzando i sensori e gli attuatori che gestiscono le strutture fisiche e digitali a valle.
Questo tipo di soluzioni apriranno la strada all’acquisizione di un grado più elevato di efficienza, resilienza e scalabilità delle strutture di elaborazione digitale delle informazioni.