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Beyond Technology: le insidie del digitale e l’importanza della cultura

L’evento organizzato da Fasternet ha evidenziato i lati oscuri dell’intelligenza artificiale. Per mitigare i rischi sociali, costruendo un mondo libero e inclusivo, occorrono consapevolezza, partecipazione e cybersecurity.

Pubblicato il 06 Lug 2023

cultura digitale

La “cultura digitale” è un concetto complesso e poliedrico, che richiede uno sforzo collettivo per essere compreso e realizzato. Le riflessioni sul tema potrebbero essere infinite e da qui nasce l’idea di “Beyond Technology: Persone, Cultura, Digitale”, il convegno organizzato da Fasternet lo scorso giugno per portare sotto i riflettori la “dimensione umana” della tecnologia, con tutte le implicazioni etiche e sociali.

L’impegno per una società digitale responsabile

Per la società di cybersecurity bresciana, infatti, la cultura digitale è una filosofia guida, ma anche una missione concreta.

“Crediamo – afferma Giancarlo Turati, amministratore delegato di Fasternet – nello sviluppo di una società digitale, inclusiva, libera e sicura. È il nostro manifesto, il risultato di un ragionamento e di un’evoluzione. ‘Credere’ significa impegnarsi, metterci del nostro: così da azienda fatta di persone siamo diventati una comunità aziendale, che condivide un percorso e obiettivi comuni. Non si tratta soltanto di vendere soluzioni di cybersecurity, ma di aderire a un progetto più alto e collettivo”.

Lo scopo è appunto la promozione della cultura digitale come base per un uso consapevole, democratico e sicuro della tecnologia, che permette di tutelare le informazioni aziendali e l’identità personale. Secondo Fasternet, attraverso l’awareness, la condivisione delle competenze e il confronto, si può davvero costruire un ecosistema responsabile che coglie i vantaggi della trasformazione digitale, mitigando i rischi.

Radunando clienti, partner e liberi pensatori, l’evento Beyond Technology è servito quindi per mettere in campo i valori aziendali, ma soprattutto per discutere le conseguenze e i retroscena della pervasività tecnologica.

I rischi del digitale come questione collettiva

L’intervento di Silvia Semenzin, ricercatrice e docente in Sociologia Digitale all’Università Complutense di Madrid, nonché attivista internazionale per i diritti digitali e femminili, ha sollevato molti temi prioritari.

L’attenzione si è concentrata innanzitutto sul potere dei sistemi algoritmici, che oggi influenzano e addirittura regolano diversi processi decisionali, nonostante la sussistenza dei pregiudizi.

Come afferma Semenzin, oggi l’intelligenza artificiale può essere impiegata ad esempio per decretare la colpevolezza di un sospettato, per valutare il licenziamento di un dipendente oppure, secondo una recente proposta a livello europeo, per valutare le domande dei richiedenti asilo. Tuttavia, è ampiamente dimostrato che i sistemi AI non sono infallibili né soprattutto privi di bias (ad esempio, hanno una tendenza a discriminare le persone di colore, come attestano alcuni studi).

“Non sappiamo – sostiene l’attivista – come i sistemi algoritmici ragionano e prendono decisioni. La tecnologia non è mai neutrale e, non dimentichiamolo, è comunque un prodotto umano (quindi riflette anche le nostre derive irrazionali – ndr). Internet è permeato da pregiudizi: tutto ciò che passa in rete è filtrato da algoritmi e inevitabilmente condiziona le nostre vite”.

Semenzin mette in guardia anche dai problemi legati alla tutela della privacy, con le grandi multinazionali che detengono il monopolio sui nostri dati, creando squilibri di potere e minacciando la riservatezza delle informazioni.

“Le tecnologie – sostiene la ricercatrice – possono essere rischiose per i nostri diritti e richiedono una riflessione comune. La questione riguarda la collettività: l’innovazione deve essere regolata, altrimenti aumenteranno il divario e la pressione sociali. In un’epoca connotata dal digitale, dobbiamo implementare un approccio inclusivo e sostenibile che non alimenti la discriminazione ma permetta a tutti di godere dei vantaggi tecnologici”.

Insomma, se l’intelligenza artificiale ha generato nuove opportunità, esiste anche il rovescio della medaglia. Gli effetti collaterali includono, ad esempio, le minacce alla privacy, un uso discriminatorio della sorveglianza, la perdita dei posti di lavoro.

Rimettere l’uomo al centro della tecnologia

Come superare le sfide? Innanzitutto, il tema della giustizia digitale va connesso alle questioni della cybersecurity e deve partire dalla trasformazione culturale. Come dichiara Semenzin, il processo di adozione e regolazione della tecnologia deve essere inclusivo ovvero partecipato da tutti: bisogna assicurarsi che chiunque, qualsiasi gruppo, abbia una rappresentanza.

“Per sconfiggere odio, violenza ed emarginazione – afferma – sono necessari percorsi formativi finalizzati ad aumentare la coscienza collettiva sui mondi digitali. Va aperta una critica sui fattori che alimentano la discriminazione e le aziende devono garantire trasparenza sull’utilizzo dei sistemi algoritmici. Occorre insomma rimettere l’uomo al centro della tecnologia, senza demonizzare il digitale ma piuttosto attraverso un’opera di sensibilizzazione sui potenziali rischi”.

Come ricorda la docente, gli esempi di cambiamento positivi ci sono e da qui bisogna attingere affinché la tecnologia possa creare guadagno sociale ed economico.

Il linguaggio è alla base della cultura e dell’inclusione

L’intervento di Semenzin rappresenta il preambolo per numerose considerazioni sulle tre direttrici della tecnologia, ovvero persone, cultura e digitale, nonché sul ruolo della cybersecurity e di Fasternet nella costruzione di un futuro inclusivo.

Come fa notare Anna Medeghini, responsabile Marketing e Comunicazione della società bresciana, l’utilizzo pertinente del linguaggio è la base per combattere la discriminazione e promuovere modelli paritari, anche nell’epoca del digitale. “Siamo gli unici animali – afferma – ad avere l’uso della parola, che connota l’essere umano. Spesso non prestiamo attenzione all’importanza dei vocaboli, eppure se qualcosa non ha un nome, non esiste. La lingua è un atto identitario, serve a rappresentare il mondo ed evolvere come società”.

Il linguaggio insomma è il mezzo per creare senso, trasmettere la cultura e costruire il nostro avvenire. “La cultura – riprende Medeghini – traghetta le persone verso il futuro, ma deve essere partecipativa. In Fasternet l’abbiamo capito e infatti parliamo di ‘ecosistema’: per noi, fare cultura significa raccontare, ascoltare e condividere storie come valore collettivo su cui edificare la nostra evoluzione”.

Oggi però c’è anche il linguaggio delle macchine da tenere in considerazione, che deve essere imparato e compreso per contribuire correttamente all’innovazione tecnologica e soprattutto sociale. “La cultura e il linguaggio digitale – conclude Medeghini – vanno portati nelle scuole, serve formazione, ma senza imposizioni né dogmatismi. Bisogna educare perché i diritti umani non sono negoziabili, nel mondo reale come nello spazio digitale”.

Futuro e protezione, binomio indissolubile

Il futuro, insomma, è un atto di consapevolezza e soprattutto di responsabilità, come suggerisce Stefano Bodini, direttore operativo di Fasternet.

“Senza un comportamento coscienzioso – asserisce – la tecnologia può essere dannosa. Le soluzioni digitali sono così user-friendly che spesso celano all’utente tutta la complessità retrostante. Eppure, aldilà della barriera, in quei mondi nascosti, vive il nostro ego digitale che esige protezione”.

Ecco perché Bodini esorta a riappropriarci di quegli spazi oscuri, abbracciando le opportunità tecnologiche cum grano salis, mettendo in sicurezza la nostra identità e respingendo le lusinghe semplicistiche del digitale.

La tecnologia può ispirare un avvenire di miglioramento, ma occorrono awareness, giudizio e partecipazione, insieme alla robustezza e alla resilienza dei sistemi. Insomma, futuro e protezione sono un binomio indissolubile.

Innovazione, processo condiviso a beneficio di tutti

Da qui partono le considerazioni di Davide Sangiorgi, account manager di Fasternet, sul concetto di innovazione come risposta a un bisogno irrisolto e opportunità collettiva, ovvero partecipata e aperta a tutti.

“L’innovazione – argomenta – non deve costituire un vantaggio esclusivo. Piuttosto bisogna creare una cultura che incoraggi alla collaborazione e coinvolga qualsiasi soggetto nelle attività creative. Le idee, infatti, nascono dalla condivisione”.

Secondo Sangiorgi, l’innovazione non è un avvenimento casuale, ma richiede un processo di maturazione. Rappresenta il frutto di un lavoro pregresso, guidato da una comunione di intenti e obiettivi.

Pertanto, chiunque in prima persona è chiamato a infondere la cultura dell’innovazione e le aziende stesse, come professato dalla filosofia Fasternet, devono garantire alle proprie persone l’opportunità di contribuire ai progetti, portando talento e valore.

La trasformazione e il ruolo sociale dell’impresa

Il concetto di innovazione si lega saldamente all’idea di trasformazione: come evolvere rimanendo fedeli a sé stessi e ai propri ideali?

La rivoluzione digitale ha destabilizzato gli equilibri planetari, perché è stata la prima a diffondersi così rapidamente a livello globale, investendo tutte le persone a dispetto di geografie, generi e classi sociali.

Ecco perché, come spiega Cecilia Costa, direttore amministrativo e membro del CdA di Fasternet, bisogna ragionare sul tema partendo dal principio dell’identità e della coerenza.

“La sostanza – afferma – deve rimanere la stessa, pur cambiando i contorni. La nostra identità si è mantenuta solida e la trasformazione è andata ben oltre gli aspetti tecnologici, perché è il frutto di persone che credono nel ruolo sociale dell’azienda”.

Nella visione di Fasternet, infatti, l’impresa non deve soltanto creare profitto, ma agire da trasformatore della società, offrendo supporto alle comunità locali. “Abbiamo realizzato – aggiunge Costa – diverse iniziative che ci legano al territorio. Ad esempio, aderendo al progetto DAD ovvero Differenti Approcci Didattici, promosso da Fondazione della Comunità Bresciana, abbiamo aiutato gli istituti scolastici della provincia a capire come migliorare l’infrastruttura digitale a supporto dei percorsi formativi”.

Costa cita inoltre il contribuito di Fasternet alla realizzazione di The Gate, un portale che permette di collegare le città di Bergamo e Brescia in tempo reale, con due installazioni tecnologiche all’interno del tessuto urbano per un’esperienza immersiva.

La cybersecurity per una società libera e inclusiva

L’impegno sociale di Fasternet, come ricorda l’amministratore delegato Turati, è figlio dell’attenzione alle persone, che per riuscire a “fare bene” devono innanzitutto “stare bene” all’interno della comunità, aziendale o cittadina.

Nel progetto di società ideale proposto dall’impresa bresciana, la cybersecurity ha un ruolo importantissimo perché garantisce libertà di pensiero, azione e aspirazione, tutelando le informazioni, l’identità e la privacy, a discapito degli episodi discriminatori. “Qualsiasi evento accada nel mondo digitale – conclude Turati – si ripercuote sul mondo reale. I problemi tecnologici diventano inevitabilmente sociali. Difendere i dati significa proteggere le persone in qualsiasi accezione”. Chiaramente servono cultura e senso di responsabilità; le imprese IT possono giocare una grande partita nel sensibilizzare sui rischi tecnologici e nel promuovere l’educazione digitale, contribuendo a un mondo inclusivo, libero e sicuro.

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