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Digital Services Act e disinformazione on line: si parte in salita

Secondo uno studio della Commissione UE, finora le Big Tech non sono riuscite a controllare la disinformazione russa. Ora scatta l’obbligo…

Pubblicato il 20 Set 2023

Immagine di Cristian Storto su Shutterstock

Presentato in pompa magna, dopo la classica lunga attesa, intrinseca alla democrazia ma inadatta all’innovazione, il Digital Services Act (DSA) scricchiola già, prima ancora di entrare pienamente a regime. È presto per parlare (a vanvera) ma si può accogliere in maniera costruttiva ciò che emerge da un nuovo studio indipendente condotto dalla Commissione Europea. L’obiettivo era quello di testare quanto tale provvedimento per comprendere se riuscirà a sorvegliare effettivamente le grandi piattaforme online del mondo (VLOP – Very Large Online Platforms) e ha iniziato a farlo con un focus sulla disinformazione dei social media russi.

Bufale raddoppiate, controlli aggirati

La conclusione a cui è giunto il braccio esecutivo dell’UE è che gli impegni assunti dalle piattaforme di social media per mitigare la portata e l’influenza delle campagne globali di disinformazione online sono stati generalmente infruttuosi. Tale valutazione si è svolta prima dell’approvazione del DSA, osservando cosa è accaduto con il Codice di condotta volontario sulla disinformazione firmato a metà del 2022: una sorta di “anteprima”.

Le piattaforme monitorate sono state proprio le VLOP, quelle abbastanza grandi da raggiungere il 10% dell’UE (circa 45 milioni di persone), quelle che il DSA dovrebbe regolare in merito.

Studiando gli effetti delle azioni che molte hanno promesso di mettere in atto volontariamente, prima degli obblighi dettati dal DSA, la Commissione Europea ha voluto iniziare a saggiarne la reale efficacia e ha ottenuto risultati preoccupanti.

La portata della disinformazione sponsorizzata dal Cremlino è infatti aumentata dopo la firma del Codice, nella seconda metà del 2022. Tra gennaio e maggio del 2023, l’engagement medio degli account pro-Cremlino è cresciuto del 22% su tutte le piattaforme online, grazie a Meta ma soprattutto a Twitter. Proprio su questa piattaforma, ora da indicare come X, il coinvolgimento è cresciuto del 36% per via della revoca delle misure di mitigazione decisa da Elon Musk, poi ritiratosi definitivamente dal Codice di disinformazione.

Nel complesso, gli account sostenuti dal Cremlino hanno accumulato circa 165 milioni di follower e i loro contenuti sono stati visti almeno 16 miliardi di volte in circa un anno.

Gli interventi di mitigazione sono risultati potenzialmente efficaci solo se strettamente rivolti a specifici account. Altrimenti, gli ambiti troppo stretti previsti per le policy implementate le rendevano facili da aggirare e totalmente inutili contro la manipolazione trasversale delle stesse piattaforme. È emersa anche una scarsa reattività, con meno del 50% dei contenuti chiaramente violativi realmente rimossi, e una incoerente applicazione delle strategie preesistenti atte a vietare la circolazione di odio e incitamenti alla violenza.

Un DSA da cambiare in corsa?

I risultati di questo studio non devono essere intesi come definitivi, perché i reali provvedimenti previsti dal DSA per imporre alle VLOP di controllare i contenuti illegali e la disinformazione sono divenuti esecutivi a fine estate. Il fatto che la portata delle reti pro-Cremlino sia più che raddoppiata dall’inizio della guerra, nonostante le promesse delle Big, dovrebbe però far riflettere l’UE sull’efficacia delle richieste avanzate relative alla diffusione di contenuti illegali e alla disinformazione online.

I ricercatori si sono portati avanti esaminando come le regole della DSA possano essere utilizzate per limitare la diffusione della disinformazione russa, considerata un rischio per la sicurezza pubblica, i diritti fondamentali e i processi elettorali all’interno dell’Unione europea. Gli articoli 34 e 35 del nuovo Act dovrebbero essere quelli incaricati a indicare alle VLOP la strada. Per ora la risposta è stata frammentaria, ma il vero obbligo è appena entrato in vigore e c’è tempo per le Big di smentire questa “prima impressione” della Commissione.

Da cittadini, quindi, non resta che attendere oppure, prendere questo “presagio” di inefficacia come un campanello di allarme e chiedere che le norme sulla disinformazione del DSA diventino subito più severe. Potrebbe essere strategico modificarle già ora, mentre le VLOP si stanno ancora adeguando e prima che scatti l’obbligo di adeguamento anche per tutte le altre piattaforme, obbligo previsto per febbraio 2024.

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