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Focus sulla formazione in azienda per evitare la fuga di dati sensibili

Una indagine sui dipendenti italiani promossa da Sharp indica che esiste ancora troppa disinvoltura nel gestire fenomeni quali il lavoro da remoto e lo smart working, ma non solo. Disattenzione e superficialità rispetto alla possibile violazione dei dati in ufficio, o comunque relativi al lavoro, vanno curate con maggiori formazione e controllo da parte delle aziende

Pubblicato il 19 Giu 2017

Ancora troppo spesso gli impiegati delle aziende italiane non considerano correttamente il tema della sicurezza informatica, quindi le imprese nostrane corrono il serio rischio di una fuga di dati sensibili. È quanto emerge da una recente ricerca promossa da Sharp.

Circa il 23% degli intervistati ha dichiarato di condividere file su spazi non protetti anche senza l’approvazione dell’azienda, il 34% di ignorare il protocollo ufficiale e di portare a casa il lavoro da completare (media europea 29%).

Un hardware difficile da usare può essere un elemento negativo per le imprese italiane, circa il 53% degli impiegati (media europea 39%) afferma, infatti, di utilizzare i propri dispositivi – più semplici da utilizzare – per connettersi alla rete aziendale. Il dato arriva al 58,5% e al 56% se si prendono in considerazione rispettivamente i millennials (i nati dopo il 1982) e chi lavora nella divisione IT (media europea circa 47% per entrambe le categorie).

D’altra parte, però, è emerso che il 10% di chi ha risposto al questionario ha affermato di avere avuto accesso a informazioni riservate che non avrebbe dovuto conoscere.

“Se si considera inoltre – come ha fatto notare Carlo Alberto Tenchini, Direttore marketing e comunicazione Sharp Italia – che oggi il 75% dei dipendenti lavora da remoto e l’81% degli impiegati accede a documenti di lavoro quando è in viaggio, le imprese devono essere al passo con i dipendenti. È compito dell’azienda trovare il giusto equilibrio tra il nuovo modo di lavorare e la condivisione sicura dei dati”.

I rischi non sono limitati soltanto all’informazione digitale; il 57% degli impiegati afferma che i colleghi lasciano le stampe nel vassoio della stampante, con un significativo incremento della possibilità che i documenti vengano letti dalle persone sbagliate.

Il sociologo Domenico De Masi ha analizzato il fenomeno sotto una duplice chiave “la constatazione che il 75% dei dipendenti lavora da remoto e l’81% degli impiegati accede a documenti di lavoro quando è in viaggio dimostra che finalmente il telelavoro e lo smart work sono diventati modalità organizzative adottate dalla maggioranza dei lavoratori. Eppure la disinvoltura, dimostrata dai risultati della ricerca, con cui vengono trattati i dati senza le dovute cautele di privacy induce a pensare che abbiamo adottato queste modalità senza la necessaria formazione. Ne deriva una pericolosa fuga di notizie e la necessità di monitorarla costantemente fin quando i lavoratori non saranno diventati esperti telelavoratori”.

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