Come è il caso di molte tecnologie emergenti, la definizione di “Cloud disaster recovery” varia a seconda del soggetto cui la si chiede. Secondo l’analista di Gartner Gene Ruth, il termine si riferisce a servizi Cloud-based che supportano una combinazione di immagini server e di backup dei dati di produzione dai locali aziendali alle facility del Cloud provider.
I servizi consentono di accedere alle immagini dei server replicati e ai dati di produzione per eseguire su questi test di prova o per supportare le operazioni di recupero “in diretta” dalla stessa facility o da una alternativa.
L’analista di Forrester Research Rachel Dines suddivide la Cloud disaster recovery in tre tipologie. La prima è il “fai-da-te”, che comporta l’utilizzo di un Cloud pubblico per creare soluzioni di failover personalizzate. La seconda è il DR “as-a-service”, ovvero i servizi preconfezionati che forniscono il failover a un ambiente Cloud e possono essere acquistati in modalità pay-per-use con prezzi che dipendono dagli obiettivi dei punti di ripristino e dai tempi di recupero. In questo caso, i dati vengono inviati utilizzando il backup o la replica. La terza tipologia è il “Cloud-to-Cloud disaster recovery”, che permette a un’azienda di mettere in piedi un’infrastruttura di failover che collega due data center Cloud nell’ambiente integrato di un unico vendor o sfruttando ambienti di diversi fornitori.
“Stiamo assistendo a un uso sempre più intensivo del Cloud DR per esigenze personali e lo stesso avviene per quanto riguarda gli ambienti business critical – esordisce Alan Berman, presidente del Disaster Recovery Institute americano, un’associazione no profit che si occupa di educazione in materia di business continuity e disaster recovery -. Secondo i nostri dati, il 25% delle imprese utilizza la DR Cloud-based già oggi, mentre il 35% ha in progetto di farlo in un prossimo futuro”.
I risparmi sono il motore
Il numero maggiore di realtà che ha adottato soluzioni Cloud-based di DR/BC è rappresentato dai “pionieri” del Cloud Computing, osserva Berman, con le medie imprese ovviamente in prima linea. La facilità d’uso è certamente un fattore differenziante per queste organizzazioni, che hanno piccoli serbatoi di competenze IT, ma il risparmio sui costi è, in assoluto, il propulsore più importante per questi progetti.
“Si tratta di soluzioni a misura di media azienda – prosegue -. Offre loro la garanzia della totale portabilità ed è relativamente a buon mercato, in particolare lo storage backup che, a conti fatti, per 100 Giga di spazio occupato costa circa 100 dollari l’anno. Nell’economia attuale, le aziende non vogliono investire in hardware e non vogliono la responsabilità di dover aumentare le dimensioni del loro pool di server qualora avessero necessità di espandere le funzionalità di storage. Con il costo degli affitti relativi agli spazi commerciali in continua crescita, e l’esplosione delle bollette dell’energia elettrica, il fatto di spostare tutte le spese in conto capitale riducendo gli immobilizzi di denaro è una leva importante per favorire la diffusione di questi servizi”.
L’evoluzione in atto
L’interesse, sia da parte delle grandi aziende che delle PMI, per il disaster recovery Cloud-based riflette una generalizzata “fame” di soluzioni Cloud. Secondo l’indagine Cloud Pulse Survey, condotta nei mesi scorsi da KPMG su un campione di 1.497 responsabili e decision maker IT, il 61% delle aziende sta già utilizzando un servizio Cloud. Nell’ambito del rimanente 39% degli intervistati che non utilizza i servizi Cloud, il 19% prevede di farlo nei prossimi sei mesi e il 35% lo ha già in programma per il prossimo anno.
Richieste di informazioni sui servizi di Cloud disaster recovery sono all’ordine del giorno per Gene Ruth, analista di Gartner. Ecco perché la Ruth ritiene che sia naturale, per le organizzazioni IT che già utilizzano il Cloud, valutare l’opportunità di convertire tutto il proprio ambiente di disaster recovery e business continuity alla “nuvola”. Ma, avverte l’esperta, le imprese – soprattutto quelle più grandi – devono rendersi conto che questa è una tecnologia ancora in evoluzione.
Per le organizzazioni IT che desiderano passare a un servizio di questo tipo occorre attendere almeno sei mesi, procedendo con cautela fino a quando una serie di tecnologie e soluzioni raggiungeranno la piena maturità e diventeranno disponibili commercialmente. “Sono molto fiduciosa in merito alle opportunità di sviluppo del Cloud storage in generale, ma occorre avere pazienza, perché questo è un settore in continua evoluzione.
Questo discorso vale, in particolare, per l’infrastruttura che consente l’accesso al Cloud, che è ancora in via di sviluppo, così come i gateway Cloud e per i software che supportano il disaster recovery nella nuvola. Le aziende devono ancora prendere confidenza con questi strumenti e occorre avere pazienza”.