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Meno ghiaccio, più cavi: l’Artico entra nella geografia della connettività “grazie” alla crisi climatica



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La riduzione della superficie dei ghiacciai dell’Artico, per lo meno in estate, rende possibili nuovi percorsi per cavi sottomarini finora irrealizzabili. Chi vuole minimizzare i rischi ci investe, UE compresa, con 23 milioni di euro.

Pubblicato il 3 mag 2024

Marta Abba'

Giornalista



cavi sottomarini

Non è la prima conseguenza dei cambiamenti climatici a cui si è spinti a pensare, ma c’è e va considerata. Ha effetti a lungo termine e “sopra le teste” dei cittadini, ma li ha e sono anche importanti e impattanti. Si tratta della riconfigurazione delle connessioni internet via cavi sottomarini: la riduzione dei ghiacci artici cambia la geografia delle zone attorno a essi, offrendo nuove opportunità. Opportunità tecnologiche-logistiche la cui validità viene però valutata in chiave soprattutto geopolitica ed economica.

La diversificazione di connettività: un’emergenza economica e politica

Il mondo si è accorto di questa novità legata alla crisi climatica a cose già fatte, quando è stato reso noto il progetto per la realizzazione di un nuovo cavo sottomarino di 14.500 km nell’Artico. Un’iniziativa con cui si vuole esplicitamente reindirizzare il traffico dati lontano da punti vulnerabili, diversificando le rotte dei cavi sottomarini.

In tempi di alti rischi di danneggiamento delle infrastrutture sottomarine, spesso a rischio di attacco, tale “triste” occasione viene accolta quasi con sollievo, per lo meno da chi si mostra più preoccupato del business che del destino del Pianeta Terra. Da questo punto di vista, infatti, la situazione appare allarmante: i dati critici oggi sono affidati quasi a un unico percorso. Oltre il 90% di quelli tra Europa e Asia passa attraverso il Mar Rosso, recentemente zona ad alto rischio per via degli attacchi dei ribelli Houthi. Un esempio che tocca l’Italia in modo non indifferente, ma che non è l’unico e non deve far pensare che il problema sia il Mar Rosso. Anche i cavi sottomarini “affidati” alle profondità del Mar Baltico, infatti, hanno di recente riportato danni per cui la Cina è una sospetta responsabile.

La situazione attuale dal punto di vista geopolitico non fa ben sperare, tra tensioni esplicite e “sotto traccia”: è quindi sempre più intenso il pressing per differenziare le rotte di traffico critico.

Non appare quindi affatto fuori luogo, in questo contesto, il progetto Far North Fiber che prevede un innovativo cavo pan-artico lungo 14.500 km per collegare direttamente l’Europa al Giappone, passando per Stati Uniti (Alaska), Canada, Norvegia, Finlandia e Irlanda. Irrealizzabile fino a pochi anni fa, causa ghiaccio, oggi a causa della crisi climatica esiste già la roadmap che prevede il suo utilizzo entro il 2027.

È stato un cambio di prospettiva – e di rotte – rapido e di cui non si è tardato ad approfittare: il ghiaccio marino si sta infatti riducendo di quasi il 13% ogni decennio. Tra l’altro, come fanno notare i progettisti, le dinamiche di tale fenomeno sono “perfette” per la sua realizzazione. Se il disgelo estivo regala alle navi la visibilità e lo spazio per installare il cavo, il “rigelo” invernale lo protegge dalle minacce umane e naturali che ne potrebbero compromettere il funzionamento.

L’Unione Europea investe 23 milioni di euro in “cavi artici”

Terminata l’indagine marina, si passerà alla produzione dei vari componenti che saranno poi installati e resi funzionanti entro i prossimi 3-4 anni. La strada – e il percorso dei cavi – è segnata, ed è anche supportata dal punto di vista economico da vari soggetti, tra cui la stessa Unione Europea che vi ha investito circa 23 milioni di euro presi dal CEF Digital, strumento finanziario a sostegno della propria connettività. Una cifra che rivela le sue preoccupazioni legate alle attuali lacune strategiche, una cifra che alza la palla a chi non crede in questo progetto. Gli scettici – come sempre – non mancano, e fanno leva soprattutto sul tema economico, con argomenti piuttosto ovvi.

Operare nell’Artico può rivelarsi più impegnativo e costoso, “banalmente” anche solo in caso di interventi di riparazione o manutenzione, ma non solo. Un fenomeno come l’ice scouring – la deriva del ghiaccio galleggiante verso aree meno profonde che sfibra il fondale marino – è pericoloso per i cavi, è un rischio reale e nemmeno troppo prevedibile. Per questo, secondo alcuni esperti, un investimento totale di 1 miliardo di euro su Far North Fiber sarebbe esagerato, soprattutto se si considera che un cavo attraverso l’Atlantico costerebbe circa 250 milioni di euro e, nel Pacifico, circa 320.

La paura di molte Big Tech di restare senza collegamenti vince su tutto, però, e il progetto artico sta andando avanti. Un suo eventuale successo sarebbe una rivincita contro gli scettici, ma non solo. Da un punto di vista più scientifico e politico, aprirebbe la strada ad altre simili opportunità nella zona dell’Artico, impattando su un ecosistema ambientale già ora fortemente vulnerabile.

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