In questo mese è d’uso fare bilanci sull’anno passato e soprattutto previsioni su quello che verrà. Non si è sottratta alla tradizione Akamai che il 13 dicembre ha invitato nei suoi uffici i media che più si occupano delle attività legate alla sicurezza e alle prestazioni del web nelle applicazioni business e consumer di e-commerce, audio e video streaming e tutto ciò che comporta un massiccio content delivery, per parlare dell’anno che è alle porte.
Alessandro Livrea, country manager nonchè AD di Akamai Italia ha esordito osservando come sebbene fare previsioni sia sempre aleatorio, vi sono tendenze evidenti e tra queste emerge lo spostarsi dell’elaborazione su ambienti ibridi e multicloud e verso i margini di questi stessi ambienti, attuando cioè schemi di edge computing. È un processo del quale la stessa Akamai è antesignana (“le nostre 250 mila macchine sono in maggioranza edge server”, ha detto Livrea) e che le ha consentito, grazie a una topologia che porta i carichi di lavoro in prossimità dei punti dove i dati sono prodotti e consumati e quindi sfrutta la disponibilità di banda dell’ultimo miglio, di distribuire contenuti a ritmi che oggi superano i 30 Terabit al secondo.
Edge e central: nessun dualismo
Secondo Livrea l’edge è una soluzione che finirà inevitabilmente per essere adottata da chiunque debba trattare grandi volumi di dati (il che oggi significa in pratica ogni impresa) e si trovi a un certo punto ad avvertire il calo delle prestazioni dovuto al traffico sulle reti, Wan, VPN o private cloud che siano. Non si deve però credere che l’edge computing finirà per sostituire l’elaborazione centrale. “Per quanto si porti sempre più logica sull’edge, come noi stessi facciamo – ha proseguito Livrea – non esiste dualità tra i due modelli. Si affermerà uno schema ibrido dove il grande data center continuerà ad avere un suo ruolo in quei compiti dove è la soluzione più adatta”.
Con le strutture distribuite e decentrate dell’edge e del multicloud e il proliferare degli endpoint dato dall’IoT crescono però i rischi per la sicurezza. Akamai, che come sostiene Livrea “è oggi più che mai una società di sicurezza informatica”, stima che più della metà del traffico web non sia opera di umani ma di macchine, e che il 40% di queste sia maligno. Gli attacchi ai sistemi non saranno più clamorosi come i DDoS (distributed denial of service) creati dalle botnet, ma al contrario tesi a non farsi notare per sottrarre più dati possibile prima di essere scoperti e neutralizzati. Le tecnologie di AI lavorano su entrambi i fronti, per creare bot sempre più capaci di simulare il comportamento umano e strumenti in grado di smascherarli, per esempio analizzando le tracce del mouse, che nei bot sono diritte e ortogonali. In ogni caso cambierà l’atteggiamento verso la cybersecurity, che sarà (finalmente!) vista come una struttura trasversale all’intera impresa. Parlando di sicurezza è entrato, anche se in modo ‘laterale’, il discorso sul futuro delle blockchain, che secondo Akamai potrebbero già entro l’anno essere scelte da banche e società finanziarie come la tecnologia preferita nelle reti di pagamento. Grazie appunto alla sicurezza intrinseca del modello che semplifica il processo di backoffice e soprattutto migliora la user experience, fondamentale nelle transazioni online.