Mercati

Industria 4.0 e manifatturiero italiano, i freni e gli ostacoli

L’evento conclusivo del percorso EY Manufacturing Lab, svoltosi a Milano lo scorso luglio, è stato l’occasione per fare il punto su due fattori critici per il successo dell’approccio Industria 4.0 nelle aziende manifatturiere italiane: la sua diffusione nelle piccole aziende e il tema delle competenze

Pubblicato il 10 Set 2018

Skill-shift-2016-2030

Le tecnologie e le soluzioni ci sono, system integrator e società di consulenza possono supportare le imprese in ogni fase, ma certo è che ripensare un’azienda manifatturiera in logica Industria 4.0, con tutta la pervasività del digitale che questo implica, non è cosa banale e i vertici aziendali sentono il bisogno di un confronto con altre realtà che abbiano già intrapreso questo percorso.

È partita da questa esigenza, direttamente manifestata da alcuni clienti, l’iniziativa EY Manufacturing Lab che ha toccato alcuni territori del nostro paese a maggior vocazione manifatturiera per abilitare un confronto tra imprenditori, responsabili operation, direttori di produzione e CIO di aziende molto diverse tra loro per dimensione e ambito produttivo. Il percorso ha visto EY assumere il ruolo di abilitatore del confronto durante i 4 workshop che si sono tenuti a Bergamo, Padova, Bari, Bologna e di padrone di casa nell’evento milanese di chiusura.

Le piccole non investono

In apertura dell’evento milanese, Donato Iacovone, Amministratore Delegato di EY, ha riportato alcune evidenze sull’approccio delle aziende italiane a Industria 4.0 emerse da diversi studi e ricerche condotte sul nostro territorio negli ultimi mesi sottolineando i due aspetti più critici: la scarsa presenza di PMI, soprattutto di piccole aziende, tra quelle che hanno usufruito dei benefici del Piano Industria 4.0 e il problema delle competenze.

“C’è sicuramente grande fermento sul tema della digitalizzazione del manifatturiero e la prima domanda da porsi è quanto il decreto Calenda abbia influenzato tutto ciò. Possiamo senz’altro dire che questo è stato il punto di partenza, l’innesco, ma poi l’interesse è aumentato quando le aziende hanno realmente visto cosa si poteva fare con un sensore posizionato su una macchina, quanti dati utili vengono forniti, e non solo in tema di manutenzione preventiva, ma anche per aumentare la produttività, per avere un migliore allineamento tra le diverse fabbriche o con i terzisti ecc.”, ha esordito Iacovone.

E allora, se l’entusiasmo c’è vediamo, nella pratica, come stanno andando le cose: “In realtà le aziende che si sono poste nell’ottica di utilizzare realmente i benefici del decreto Industria 4.0 sono ancora poche e soprattutto non sono per niente coinvolte le piccole, quelle con una media di unità sotto le 25 persone”. Questa considerazione porta a riflettere su un tema molto importante che, a volte, rischia di non essere guardato con la necessaria attenzione: “In Italia abbiamo un manifatturiero che produce per il consumatore finale ma abbiamo anche una parte molto vasta di aziende che producono per altri produttori: in questo ambito la qualità è sicuramente importante, ma il prezzo è ancora fondamentale, quindi la produttività è vitale. Su 100 auto che girano Italia, 1 sola è prodotta in Italia, ma su 100 auto che girano nel mondo moltissime hanno componenti italiani: se non investiamo in produttività, la posta in gioco che rischiamo di perdere è molto alta”, ha affermato l’AD di EY mostrando un grafico (figura 1) tratto da un recente studio di Cassa Depositi e Prestiti (Il sistema produttivo italiano. Tra modernizzazione e Industria 4.0) che mostra una clusterizzazione delle aziende sulla base del loro grado di modernizzazione dove questa affermazione è concretizzata dal fatto che è solo l’11,9% delle imprese a essere nella fase più avanzata, ma con il 31,2% degli addetti, mentre al polo opposto (Non innovativi, ossia che non hanno effettuato alcun investimento e non mostrano alcuno sforzo diretto all’innovazione) c’è quasi il 60% delle imprese (con un totale di addetti intorno al 27%, quindi parliamo di realtà piccole o molto piccole). “Come paese abbiamo bisogno di elevare rapidamente le dimensioni più a sinistra del grafico”, ha detto Iacovone.

grafico che mostra Cluster di imprese per grado di modernizzazione
Figura 1 – Cluster di imprese per grado di modernizzazioneFonte: Il sistema produttivo italiano, CDP, Quaderni Q3 2018

A conferma di tutto ciò, dal Primo rapporto Industria 4.0 delle PMI italiane dell’Università di Padova vediamo che l’81% delle PMI del Nord del paese non ha adottato alcuna tre le tecnologie abilitanti 4.0: “È un dato preoccupante e dovrebbe essere al primo punto dell’agenda politica perché se non portiamo queste aziende a competere nel mondo, il problema che avremo sarà ancora più grande”.

Creare e attrarre competenze per sfruttare le tecnologie

Gli incentivi sono importanti e aiutano molto su questa strada, ma c’è un altro tema che l’ad di EY sottolinea: “Tutto questo cambiamento passa per le competenze. Nel mondo nuovo in cui stiamo entrando, il tema non sono le tecnologie, quelle ci sono e il loro costo rispetto al passato è risibile, il vero tema è come utilizzare queste tecnologie per migliorare la produttività: mentre una macchina posso acquistarla in 3 settimane, per avere una competenza che sappia realmente sfruttare la nuova tecnologia ci vogliono mesi se non anni. Per questo – dice l’AD – abbiamo contribuito all’Alleanza per il lavoro del futuro, un’iniziativa che coinvolge aziende leader di mercato, università e scuole superiori, con l’obiettivo di creare 100.000 posti di lavoro nei prossimi cinque anni”.

grafico che mostra lo Lo spostamento di skill dal 2016 al 2030
Figura 2 – Lo spostamento di skill dal 2016 al 2030 – Fonte: Elaborazione EY su dati ANPAL-Unioncamere

Commentando il grafico che illustra lo spostamento di competenze dal 2016 al 2030 (figura 2), Iacovone afferma: “Crescono quelle competenze tecnologiche di alto livello che vanno costruite. Solo nel 2017 sono state 27.000 le richieste di questo tipo di competenze che sono rimaste vacanti, contemporaneamente 30.000 se ne sono andate all’estero: noi esportiamo competenze di alta qualità e importiamo bassa scolarità”. Quello mostrato da Iacovone sembra un Giano bifronte perché se da un lato bisogna lavorare sulla formazione per creare le competenze del domani, dall’altro il mercato del lavoro italiano manca evidentemente di attrattiva per le competenze elevate visto l’esodo dichiarato. Anche questo è un tema sul quale le aziende dovrebbero riflettere.

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