La relazione tra piccole e medie imprese italiane e digitalizzazione non è ancora matura, perché si diffonda davvero innovazione digitale nelle Pmi servono più investimenti in tecnologia e risorse umane. È quanto emerge dalla ricerca svolta dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano su un campione di circa 1.500 piccole e media imprese italiane che sottolinea che solo il 26% delle piccole e medie imprese italiane nel 2020 è pronta a sfidare i mercati mondiali potendo contare su tecnologie avanzate e processi produttivi digitalizzati. Questo nonostante 9 imprenditori su 10 considerino l’innovazione e la visione 4.0 necessari per lo sviluppo del business aziendale (figura 1).
Gli ostacoli all’innovazione digitale nelle Pmi italiane
Secondo Giorgia Sali, ricercatore senior dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano “manca la reale volontà di innovare da parte degli imprenditori italiani. Le previsioni di investimento in processi digitali nel 2020 parlano di stagnazione e in alcuni casi anche di contrazione rispetto all’anno appena trascorso, confermando una visione di sviluppo in ottica 4.0 ancora troppo timida. La reticenza nell’allocare investimenti in digitalizzazione da una parte è spiegata da una visione imprenditoriale che guarda più al breve che al medio lungo termine, dall’altra dalla presenza di alcuni elementi di freno, quali i costi di acquisto dei servizi digitali percepiti come troppo elevati (27%), la mancanza di competenze e di cultura digitale nell’organizzazione (24%), lo scarso supporto da parte delle istituzioni (11%). Su quest’ultimo punto, si riscontra anche una scarsa conoscenza da parte di chi guida le aziende degli incentivi messi in campo dal Governo, in particolare nel Centro e Sud Italia: si è rilevato che per esempio il 68% degli imprenditori non è aggiornato sui voucher consulenza in innovazione promossi dal MISE”.
Quali sono le figure professionali coinvolte nella digitalizzazione?
Per il 44% delle aziende medio piccole italiane il presidio delle aree ICT e Digital è del Responsabile IT il quale, nella maggioranza dei casi, è impiegato a gestire attività non innovative, ma di manutenzione ordinaria dei sistemi informatici.
Solo nel 20% dei casi è presente negli stabilimenti un Innovation Manager che porta avanti le attività legate a percorsi di innovazione, di prodotto e/o di interi processi aziendali. Il 18% delle PMI ha invece una figura dedicata a uno specifico ambito del digitale o a un singolo processo, per esempio un responsabile della sicurezza informatica, un eCommerce Manager oppure un Data Scientist, senza però avere un presidio generale che coordini le progettualità in maniera centralizzata. Infine, il 18% non ha alcuna figura dedicata. (figura 2)
Outsourcing vs competenze interne, cosa serve alle Pmi per fare innovazione digitale?
Esiste, come si è visto più sopra, un grande frazionamento di competenze e di ruoli che operano all’interno dei processi tecnologici delle imprese e in molti casi servizi e opportunità digitali strategici in termini di competitività vengono esternalizzati, come ad esempio l’e- commerce, il CRM, le piattaforme web.
La scelta dell’outsourcing deriva dalla difficoltà di acquisire competenze ad hoc in azienda, dalla ciclicità delle progettualità digitali (soprattutto in caso di sviluppo di una nuova piattaforma) e dai costi legati all’aggiornamento e alla formazione delle risorse dedicate.
Coerentemente, sono ancora poche le realtà ove sono presenti delle iniziative di formazione strategica su tematiche digitali. La maggior parte opta per attività “informali”, ossia demanda all’iniziativa del singolo la scelta di formarsi sui temi in oggetto, o per semplici campagne di sensibilizzazione: per esempio, nel 2019 il 41% ha investito sulla formazione di base relativa all’analisi dei dati e il 65% ha svolto attività di sensibilizzazione (dall’invio di newsletter informative alla fruizione di corsi verticali) su tematiche legate alla cybersecurity.
Quale rapporto tra le PMI e le principali tecnologie?
Il 28% delle piccole e medie imprese italiane svolge analisi di dati in maniera strutturata, ma meno del 10% svolge analisi avanzate sfruttando i big data, valore che mostra uno spiccato divario rispetto alle PMI europee.
Per quanto riguarda l’utilizzo dei sistemi in Cloud Computing per lo storage delle informazioni aziendali, i numeri crescono se si parla di grandi imprese, non decollano invece nelle medie e piccole, tra le quali solo il 30% utilizza queste tecnologie.
Il principale ostacolo è riferito, in quest’ambito, alle preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e delle applicazioni, una resistenza culturale difficile da superare. Infine, un dato veramente preoccupante: il 61% dei piccoli imprenditori non ha mai sentito parlare di soluzioni di Internet of Things per l’Industria 4.0 e coloro che hanno provato a investire su questo asset centrale per rendere più efficienti i processi mantengono scetticismo per via di una difficoltà oggettiva nel misurare nel breve periodo gli investimenti compiuti.
In particolare, nel Nord-Ovest italiano, dove risiede il 32% delle PMI, esiste un alto livello di maturità digitale relativa a specifici processi interni (è per esempio più elevato che in altre aree geografiche il grado di adozione di sistemi gestionali e di tecnologie IoT) ma guardando al processo di innovazione in generale i dati preoccupano: basti pensare che il 32% non adotta soluzioni di cybersecurity e il 20% non ha un sito web.
L’Osservatorio ha definito 4 profili digital delle PMI italiane (figura 3) dai quali risulta che solo il 26% delle PMI del campione è “digitalmente maturo”.