Il rapporto tra gli italiani e la tecnologia è contraddittorio, questo ciò che emerge dallo studio “Retail Transformation. Scenari di business e di consumo tra Intelligenza Artificiale, Big Data ed IoT” realizzato dal Digital Transformation Institute e dal CFMT, in collaborazione con Assintel e SWG su un campione nazionale di mille utenti rappresentativo della popolazione italiana per genere, età e zona di residenza.
“Le contraddizioni che emergono con chiarezza dal nostro rapporto – ha affermato Stefano Epifani, presidente dell’Istituto – nascono dal fatto che, in sostanza, viviamo in un’Italia a due velocità. Da una parte gli utenti entrano in contatto con servizi che sono globalmente disponibili (si pensi ai social media, agli assistenti vocali, agli smartphone di ultima generazione). Dall’altra vivono in un contesto sociale, economico e culturale che su questi temi sconta una distanza significativa rispetto agli altri Paesi in merito alla cultura digitale. In altre parole abbiamo la disponibilità degli strumenti tecnici, ma non la consapevolezza necessaria per sfruttarne le potenzialità. Con il risultato poco confortante di rischiare di coglierne prevalentemente gli aspetti negativi rispetto a quelli positivi. Gli utenti guardano con fiducia a questi scenari, ma non si rendono conto del come fare per trasformare questa fiducia del tutto teorica in un’opportunità concreta. E questa situazione non fa che peggiorare quando invece che di utenti si parla di Piccole e Medie Imprese, che poi sono fatte da utenti che dovrebbero comprendere come i nuovi scenari tecnologici impattino sul business. Insomma: la sfida ancora una volta è su consapevolezza e competenze. Due fattori dai quali non possiamo prescindere per cercare di fare della trasformazione digitale una leva di crescita e di sviluppo piuttosto che una minaccia dalla quale guardarci”.
“Per comprendere il senso della rivoluzione digitale in corso – ha commentato Giorgio Rapari Vicepresidente CFMT e Presidente Assintel – prima ancora di parlare di competenze digitali, è necessario partire dall’acquisizione di una nuova consapevolezza relativa al tema della trasformazione digitale e dei punti di forza e debolezza che tale fenomeno presenta, oltre che delle sfide di fronte alle quali pone azienda e manager”.
Uso della tecnologia in Italia: fiducia in teoria, ma non in pratica
La foto scattata dal rapporto mostra persone che di fronte alla tecnologia dicono di essere incuriosite (80%), di provare passione (27%) e gioia (22%), di sentirsi a proprio agio (58%), di considerarsi utenti advanced (47%) o medi (31%) e cavarsela piuttosto bene con strumenti nuovi (30%), ma che nella realtà dei fatti vivono nel Paese che copre la poco confortante quartultima posizione nella classifica delle competenze digitali rilevate nei cittadini europei.
Intervistati che si fidano della tecnologia e che in teoria hanno familiarità con essa, nonostante pecchino in fatto di sperimentazione sul campo: non hanno mai usato un mezzo di trasporto condiviso usando un’app (75%), non hanno mai pagato contactless con lo smartphone (61%), non hanno mai utilizzato nemmeno una smart TV (54%).
Quando si scende nello specifico e si cominciano a nominare le tecnologie, le persone ostentano sicurezza: conoscono molto bene il termine Intelligenza Artificiale (36%), ne hanno sentito parlare e in generale sanno a cosa serve e come si può usare (46%). Ma non hanno mai utilizzato un assistente vocale (41%), almeno non in modo consapevole, così come non è mai capitato loro di gestire elettrodomestici o altri dispositivi presenti in casa da smartphone.
La situazione non cambia quando si parla di Realtà Aumentata, conosciuta dal 92% degli intervistati ma mai usata dal 43% di questi, o Blockchain associata a bitcoin, conosciuti dall’81% degli utenti ma utilizzati solo da uno sconfortante 3%. Contraddizioni importanti emergono poi quando si parla di raccolta dei dati degli utenti, privacy e servizi personalizzati realizzati proprio grazie all’analisi di questi ultimi. È considerato utile avere informazioni e servizi personalizzati su prodotti che si stanno cercando grazie ai Social Media (84%), ma si considera gravemente lesiva della privacy la raccolta dei dati effettuata dagli stessi social (77%). Quella raccolta dati che serve sì per profilare l’utente a fine pubblicitari, ma senza la quale i servizi personalizzati non sarebbero possibili.