Mercati

La manifattura italiana è pronta per la sfida 4.0

La realtà manifatturiera italiana sta guadagnando un ruolo sempre più importante a livello internazionale grazie soprattutto a quelle imprese che non hanno rinunciato a innovare anche in tempo di crisi e che oggi si apprestano a farlo cogliendo il momento favorevole del mercato, grazie anche alle opportunità offerte dal Piano Industria 4.0. Ma perché si affermi un nuovo modello di fabbrica e di catena del valore sempre più connessi fino al cliente finale, oltre alla tecnologia servono cultura e competenze adeguate. Lo hanno sostenuto imprenditori e attori del sistema economico in occasione dello scorso XVI Forum Leonardo e di EY Digital Summit.

Pubblicato il 08 Feb 2018

digital manufacturing industry 4.0

Le buone performance delle imprese industriali Italiane in termini di esportazione sono state evidenziate dal presidente dell’Agenzia ICE, Michele Scannavini, in occasione del XVI Forum annuale  del  Comitato Leonardo, svoltosi qualche mese fa a Milano. Nei primi otto mesi del 2017 si è infatti registrata una crescita dell’export dell’8%, con un ruolo trainante di settori ad alta intensità di tecnologia, come l’automotive (+19%), il farmaceutico (+16%) e i macchinari cresciuti anch’essi a doppia cifra. In prima fila mercati come la Cina, la Russia, l’India, dove l’export italiano è cresciuto rispettivamente del 26%, del 22% e del 20%. Questi Paesi stanno trasformando rapidamente il loro modelli industriali: da quelli attuali basati su prodotti a basso valore aggiunto, a prodotti con contenuto tecnologico ed elevato valore aggiunto. Questa evoluzione va vista come una opportunità di penetrazione verso mercati che hanno necessità crescenti di competenze, tecnologie, macchine e prodotti. “Più siamo competitivi sulle tecnologie innovative più chance abbiamo di mantenere un ruolo guida europeo nella manifattura”, sottolinea Scannavini.


“Dobbiamo tornare a credere di essere una grande potenza manifatturiera, non solo grazie al made in Italy, ma anche con il made with Italy”, sottolinea il sottosegretario allo Sviluppo Economico Ivan Scalfarotto, sempre in occasione del Forum Leonardo, che porta ad esempio il caso dell’India: è un grande produttore di materie prime per l’alimentazione, ma oggi trasforma solo al 5%, mentre potrebbe diventare una Paese trasformatore grazie alla competenze e le macchine italiane.
Nella stessa occasione Sandro Salmoiraghi, Presidente di Federmacchine, ricordando che le aziende che aderiscono a Federmacchine esportano mediamente l’80%, sottolinea: “L’aiuto che arriva con il Piano Industria 4.0 fornisce un’ulteriore spinta per sostenere le aziende e aiutare l’Italia a diventare un Paese ancor più esportatore. È nel nostro Dna la capacità di interpretare i desideri dei nostri clienti e creare la macchina e l’impianto giusti per soddisfarli. Oggi siamo ricompensati per questo sforzo e aiutati a rinnovare un parco macchine che negli ultimi 10 anni è invecchiato”.

Ma la trasformazione oggi richiesta è alla portata della nostra industria? Se lo chiede Alberto Baban, Presidente Piccola Industria di Confindustria: “Il mercato mondiale è sempre più raggiungibile per l’industria italiana grazie alle nuove tecnologie. Ma le nostre fabbriche, in gran parte B2B, sono in grado di sfruttare queste opportunità? Le nostre imprese saranno in grado di entrare nei nuovi business che si aprono, ad esempio nella nuova auto a guida autonoma e arrivare fino al cliente finale?”

Baban suggerisce alle imprese un’evoluzione dall’attuale modello prevalente B2B a quello B2C o, meglio, di allungare la filiera per arrivare sul mercato in una logica B2B2C, arrivando al cliente finale attraverso partner se non ci sono le dimensioni per poterlo fare da soli: “Grazie alla disponibilità dei dati è anche possibile cambiare il flusso e pensare a un modello di business C2B, per poter analizzare il mercato e costruire il prodotto di conseguenza. Serve però abituare le nostre fabbriche a interpretare i dati, per capire cosa vuole davvero il cliente e sfruttare anche i nuovi canali di acquisto”, aggiunge.

Un passaggio, suggerito da Scannavini, riguarda la possibilità di guardare con maggior attenzione all’e-commerce, che rappresenta il 9% del retail mondiale, cresciuto di circa il 25% nel 2016 ma di cui si prevede il raddoppio nei prossimi 3 anni. “Bene Industria 4.0 ma servirebbe anche Commercio 4.0. – sottolinea Scannavini. – Oggi l’Italia ha solo 1% del valore dell’e-commerce e solo il 10% delle aziende lo praticano”. Fondamentale dunque accelerare, saltando passi intermedi, per cogliere una grande opportunità, soprattutto per le PMI, di disintermediare.

Da parte sua, ICE supporta le PMI sia con la formazione, per aiutarle a capire il fenomeno, sia con accordi con marketplace e retailer globali (con investimenti soprattutto in USA e Cina) per permettere alle PMI di partecipare ed essere visibili.
La digitalizzazione potrebbe dunque consentire una trasformazione del modello industriale italiano, oggi prevalentemente B2B, per entrare in contatto, in modo diretto o indiretto, con il cliente finale.

Con Industria 4.0, la fabbrica non è più quella di una volta

Il piano Industria 4.0 è arrivato al momento giusto. Lo sottolinea, in occasione del Summit EY, Paolo Scudieri, Presidente di Adler, azienda che progetta, sviluppa e industrializza componenti e sistemi per l’industria del trasporto.  “Se l’imprenditore non vuole investire non c’è incentivo che tenga – precisa – L’industria dell’auto, considerato un settore ormai maturo è oggi attore di una reinterpretazione di modelli di vita e soggetto di trasformazione totale che ha abbattuto i muri fra il cliente e il fornitore. Esistono oltre 4mila modi di comporre un’auto e la richiesta di tempi di costruzione molto compressi ha inevitabili impatti su organizzazione e competenze. Per fare un’auto bella e desiderabile non ci sono più progetti segreti, ma serve una condivisione trasparente degli obiettivi e risultati e attori ben addestrati e professionalizzati, capaci di cogliere il nuovo atteggiamento dei consumatori”.

La rivoluzione 4.0 investe tutti i settori, come testimonia, nella stessa occasione, Claudio Marani, Direttore Generale di Sacmi, azienda che produce macchine per ceramiche e per confezionamento.

Nata come cooperativa fra 9 persone nel 1919, oggi è un’azienda con una presenza internazionale in diversi settori con un fatturato di 1,4 miliardi di euro: “Spinti da innovazione e tecnologia siamo i leader assoluti nel settore delle macchine per la ceramica”, precisa Marani ricordando che oggi, grazie alla digitalizzazione dei processi e all’automazione delle macchine che consente l’assistenza in remoto, si opera in un ambiente asettico, con macchine fortemente interconnesse, con poche decine di operatori che svolgono solo funzioni di controllo, mentre in passato almeno un centinaio di persone lavorava in un ambiente malsano per produrre pochi metri di piastrelle. Ne conseguono anche risparmi energetici enormi (quello della produzione di ceramica è un settore energivoro), notevole riduzione degli scarti, un ambiente sano di lavoro sia per chi produce gli impianti sia per gli utilizzatori finali. Notevole anche la riduzione dei tempi: a poche ore dalla consegna del disegno si ha il prodotto finito a magazzino.

… ma servono competenze e cultura aziendale elevate

Questo modello trova però ostacoli in un percorso che deve investire tutta la catena del valore, non solo l’indotto e i fornitori diretti ma anche il sistema dell’istruzione, con una maggior integrazione con scuole e università. Anche Scudieri ammette: “Nella fabbrica 4.0 opera una manodopera evoluta che non si limita ad avvitare bulloni in una catena di montaggio vecchio stile, ma abilita un fattore tecnologico cibernetico. È molto più gratificante, ma servono azioni di formazioni più incisive prendendo ad esempio la Germania per l’apprendistato duale dove scuola e impresa convivono realmente”.

Un’esperienza interessante di integrazione fra il sistema della formazione, il territorio e l’impresa è testimoniata da Adolfo Guzzini, Presidente iGuzzini Illuminazione, leader nel settore dell’illuminotecnica (con importanti esperienze nel settore dei musei dei monumenti, degli aeroporti…) con l’80% di export. L’impresa è totalmente integrata e, a livello di fabbrica, i macchinari sono interconnessi per tenere sotto controllo i parametri di produzione e quelli di usura e manutenzione. Per fare innovazione nel settore dell’illuminotecnica è, secondo Guzzini, indispensabile collaborare con università e ricerca e dotarsi di personale altamente qualificato: “Innovazione e ricerca, qualità delle risorse umane e internazionalizzazione sono nel nostro Dna”, sottolinea il Presidente. Ma lo sviluppo delle competenze va anche promosso: l’azienda ha realizzato convenzioni, fin dal 2001, con il locale istituto tecnico, per favorire le iscrizioni, in particolare all’indirizzo elettronico, investito nei laboratori, realizzato incontri con gli studenti.

In questo passaggio delicato, le imprese devono dunque svolgere la loro parte.

Gerhard Dambach, Amministratore Delegato di Robert Bosch, ha portato il discorso sull’inadeguatezza della cultura aziendale per affrontare un passaggio complesso che prevede una nuova relazione fra le persone e le macchine, un nuovo modo di utilizzare i dati, la ridistribuzione di valore all’interno della filiera. Necessario anche per le imprese, che nel periodo di crisi hanno poco investito in formazione, definire nuove modalità; Bosch lo sta facendo, con il superamento della tradizionale formazione in aula e il coinvolgimento dei dipendenti a cui viene richiesto un ruolo attivo nella definizione di progetti nella loro area di lavoro.
È’ il momento per le imprese di sfruttare il nuovo pilastro delle agevolazioni del Piano industria 4.0 che riguarda proprio la formazione, come già hanno fatto per macchinari e tecnologie.

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