“La trasformazione digitale è inevitabile, ma comporta dei rischi”. Così Severino Meregalli di Sda Bocconi, ha sintetizzato il proprio monito in occasione della presentazione dell’ultima ricerca sullo stato della trasformazione digitale nel settore manifatturiero italiano, realizzata dal DEVO Lab in collaborazione con SAP. “Le nuove tecnologie creano e distruggono valore con estrema rapidità, per questo servono dinamismo e capacità di affrontare le complessità per riuscire a operare in scenari economici non prevedibili”.
Una situazione che accomuna il settore manifatturiero a molti altri sollecitati ad adeguare processi e tecnologie, “per non rischiare di ritrovarsi dalla ‘parte perdente’ delle disruption”. Secondo Meregalli le competenze in Italia non mancano, anche se è sopravvalutato il contributo che potrà dare l’arrivo nel mondo del lavoro della nuova generazione dei millennials. “Padroneggiare le tecnologie non dà garanzie sul fatto di saper prendere le giuste decisioni. Occorre capire dove la tecnologia può creare valore e non distruggerlo. Perché non serve inseguire l’innovazione ad ogni costo: nel campo del manufacturing italiano c’è il rischio di cavalcare mode e investire su tecnologie che sono immature. E mentre le aziende più grandi possono permettersi di fare esperimenti ed errori, le piccole mettono a rischio la loro sopravvivenza”. Non tutte le novità che escono dai centri di ricerca sono adatte alle piccole imprese: devono essere vagliate attentamente prima d’essere usate; non di rado sono adatte ad essere implementate solo in aziende di grandi dimensioni perché generino valore “Spesso manca un collegamento tra l’adozione di tecnologie e loro gestione. Molti progetti falliscono perché l’innovazione digitale si è concentrata in una sola componente della filiera ma non nelle altre che servono a portarla sul mercato. Nel campo del manufacturing c’è il rischio di investire per rendere flessibili i sistemi di produzione senza avere più a valle creato i presupposti per portare ai clienti un’offerta più differenziata”.
Who's Who
Severino Meregalli
Gianluca Salviotti entra nel merito della ricerca che ha coinvolto 1200 aziende manifatturiere – con giro d’affari da 50 milioni di euro in su, rappresentative della geografia e mercato italiani. Ebbene, il 27% delle aziende dichiara di aver intrapreso e portato a termine una o più iniziative di digitalizzazione, mentre il 36% le ha avviate ma non ancora terminate e il 13% ha in programma di avviarle. Solo il 23% non ha alcun progetto. “Il 63% delle imprese è attivo in termini di digitalizzazione aziendale – precisa Salviotti – anche se questo non vuol dire che ci si muova verso la prospettiva dell’industria 4.0”. Gli obiettivi della digitalizzazione sono rivolti a migliorare efficienza e produttività (57%), il coordinamento interno (47%) e il miglioramento della qualità (33%). Il CIO/direttore SI viene indicato come il primo responsabile nelle iniziative di digitalizzazione dell’impresa dal 48% dei rispondenti, seguito dal direttore generale (40%), dalla proprietà (36%) e dal direttore amministrativo (15%). Sul fronte dei budget, 4 aziende su 10 prevedono un incremento degli investimenti nei prossimi 3 anni. Per quanto riguarda gli investimenti direttamente gestiti dai CIO, la parte del leone è occupata dai servizi cloud (59%), seguiti dalla security (30%), dalle tecnologie di integrazione (24%), big data (16%) e per l’in-memory computing (11%).
Who's Who
Gianluca Salviotti
Sul fronte specifico delle iniziative di digital manufacturing, il 21% dei rispondenti dichiara di aver portato a termine una o più iniziative, mentre le ha avviate ma non completate il 27%. Nel 15% dei casi c’è in programma di far qualcosa nel prossimo futuro, mentre per un rilevante 36% non c’è volontà. “Nel 31% delle aziende l’innovazione digitale in ambito manufacturing accompagna di pari passo la trasformazione in senso digitale dell’intera impresa – spiega Salviotti – in un altro 30% risponde a piani slegati da quelli più generali”. Tra gli obiettivi dei progetti di digital manufacturing ci sono l’aumento di produttività (43%), la migliore qualità (40%), l’utilizzo ottimale degli asset (25%) e la flessibilità produttiva (29%). Tra le tecnologie che i rispondenti hanno indicato più significative per i processi di digitalizzazione del manufacturing compaiono nell’ordine: il cloud computing (53%), la robotica avanzata (47%), l’IoT (44%), la big data analytics (38%), la realtà aumentata (29%) e la stampa 3D (22%). “La lettura globale dei risultati mostra come la maggioranza delle aziende manifatturiere italiane stia lavorando per migliorare i processi al proprio interno ma non è ancora pronta a usare il digitale per lanciarsi in nuove sfide”, commenta Salviotti. Le aziende stanno insomma investendo per migliorare soprattutto produttività, qualità, flessibilità, molto meno su ciò che potenzialmente potrebbe aprire loro nuovi mercati. “C’è fermento verso il mondo dell’industria 4.0 ma è ancora largamente un work in progress”, precisa Salviotti.
Who's Who
Adriano Ceccherini
Adriano Ceccherini, responsabile SAP per le PMI, sottolinea l’ottimo momento per gli investimenti in ambito software delle piccole e medie imprese italiane. “Anche dal nostro osservatorio è più frequente incontrare progetti di ottimizzazione della filiera che non rivolti a creare nuovi modelli di business, anche se non mancano alcuni esempi virtuosi”. Virginio Basilico, direttore dei SI di Vibram spiega come le tecnologie digitali integrate con moduli SAP abbiano permesso alla sua azienda (specializzata nella produzione di suole per scarpe in gomma) di velocizzare lo scambio d’informazioni e prototipi con le fabbriche dei clienti situati in ogni parte mondo, quindi usare tecniche intelligenti per preventivare e ottimizzazione i costi di stampaggio degli oltre 30 mila prodotti – diversi per mescola, misure, colore e forma – oggi trattati.