Trend Tecnologici

La trasformazione digitale nel mondo della moda: mercato, trend e prospettive

Tra interruzioni nelle supply chain, chiusure di punti vendita e una forte contrazione della domanda, il fashion è uno dei settori più colpiti dalla pandemia. Il digitale è un alleato determinante per far fronte alle disruption: ottimizzare la produzione, costruire supply chain resilienti e personalizzare il rapporto coi clienti in ottica omnichannel sono gli ingredienti per risollevarsi e guardare al futuro con ottimismo

Pubblicato il 24 Dic 2020

Trend fashion

Lo studio intitolato Settore Moda e Covid-19: scenario, impatti, prospettive firmato congiuntamente da cdp, EY e Luiss Business School aiuta a comprendere l’impatto della pandemia sul mercato della moda: la filiera italiana supera, a livello di fatturato, gli 80 miliardi di euro e dà lavoro a 500mila addetti, corrispondenti a circa il 12,5% di tutta l’occupazione manifatturiera. Nel 2019, il mercato correva veloce abbracciando appieno la globalizzazione, affrontava le grandi sfide della sostenibilità e dell’innovazione trovando nell’export del Made in Italy – soprattutto verso i Paesi asiatici, Cina in testa – un alleato di grande valore. Poi è arrivato il Covid e, purtroppo, il mondo della moda ne ha risentito in modo particolare: la disruption delle Supply Chain globali, la chiusura dei punti vendita, la cancellazione di eventi commercialmente rilevanti, il distanziamento sociale e, soprattutto, l’incertezza sul futuro hanno letteralmente abbattuto la domanda del consumatore finale e, di riflesso, quella degli operatori. Si stima, secondo il documento citato, una riduzione di fatturato (2020) compresa tra una proiezione ottimistica di -26,9% e uno scenario più grave da -34,8%.

La pandemia non è l’unica sfida

Il Covid non ha spazzato via le sfide con cui gli operatori avevano a che fare nel 2019. Oltre alle criticità più recenti, i brand più esclusivi hanno a che fare con uno storico problema di contraffazione, e tutti assistono alla progressiva trasformazione dei comportamenti d’acquisto dei clienti, che diventano sempre più imprevedibili, complessi da interpretare e, soprattutto, da assecondare.

Tutto ciò è una conseguenza di ciò che si definisce empowerment del cliente e rappresenta l’altra grande sfida per gli operatori: le aspettative di chi compra crescono di giorno in giorno, la reattività deve essere massima e il rapporto col brand più stretto di un tempo; inoltre, non può mancare interazione e un’ottima gestione del customer journey, che oggi si snoda tra punti vendita fisici (quando aperti) ed e-commerce, canali social, app, servizi dedicati e molto altro. Infine, quando si parla di reattività massima non ci si riferisce solo alla gestione del cliente, ma alla rapidità dei lead time di produzione e consegna dei prodotti e alla capacità del cliente stesso di influire praticamente in tempo reale sul prodotto stesso, portando a una customizzazione di massa che mette a durissima prova gli impianti produttivi.

Nel mondo fashion, poi, la chiusura dei punti vendita e/o il rispetto obbligatorio della distanza sociale ha un impatto profondo, soprattutto nei confronti dei brand più quotati ed esclusivi: a differenza di altri settori, in questo caso la in-store experience è un fattore determinante nella relazione tra il brand e il cliente, che in punto vendita deve vivere i valori del marchio. Tramite il solo canale online, tutto ciò è palesemente più difficile da trasmettere.

Trasformazione digitale nel fashion: produzione e supply chain

Di fronte a un quadro di questo tipo, e soprattutto alle evidenti difficoltà dell’era-Covid, esiste un solo vincitore, ma più che altro un solo grande obiettivo: la piena maturità digitale. Il fenomeno va osservato dall’alto, con un approccio olistico: prima ancora di gestire l’esperienza del cliente, occorre ragionare in termini di digitalizzazione dei processi produttivi, sposando quei modelli 4.0 che permettono di anticipare e assecondare un mercato quanto mai imprevedibile. Non dimentichiamo, infatti, che in era di mass customization, molte aziende producono ancora con logiche stagionali ormai superate e senza basarsi su previsioni data-driven della domanda. A tal proposito, McKinsey sostiene che l’inventario in eccesso per le collezioni primavera/estate 2020 abbia un valore compreso tra i 140 e i 160 miliardi di dollari (tra 45 e 60 miliardi solo in Europa), che è più del doppio degli altri anni. Due considerazioni in merito: una, banale, è l’impatto violentissimo del Covid; l’altra riguarda il fatto che ogni anno pre-covid, il valore dello stock invenduto fosse comunque compreso tra 70 e 80 miliardi di dollari, non propriamente una cifra esigua.

Per soddisfare le esigenze di un mondo che cambia velocemente, la trasformazione digitale va quindi intrapresa a tutto tondo e deve riguardare modelli produttivi, logistici, distributivi, di marketing e vendite, oltre alla customer experience, altro grande capitolo nell’universo fashion e retail. La rivoluzione digitale sta iniziando a coinvolgere le Supply Chain, che vanno concepite come reti di nodi totalmente interconnessi via cloud, ma anche intercambiabili per far fronte rapidamente ad eventuali disruption. Tutto ciò si somma ai vantaggi della condivisione realtime dei dati, un fattore che assicura produzioni molto più tempestive, agili e in linea con le esigenze espresse dai mercati. Volendo citare una definizione di Deloitte, la trasformazione digitale nel mondo della moda è lo strumento con cui le aziende colmano il divario tra le aspettative dei clienti, il servizio e l’esperienza che questi ricevono. Su quest’ultimo fattore pesa l’allineamento dei prodotti ai trend di mercato, la personalizzazione del servizio, la in-store experience, la resilienza e l’interconnessione della Supply Chain e la capacità di porre in essere un modello di vendita fondato sull’omnicanalità. Per funzionare, ognuno di questi tasselli è fondato sul digitale.

Il ruolo della tecnologia e dell’IT nel modello omnicanale

La trasformazione digitale del settore è orientata all’ottimizzazione della customer experience. L’obiettivo dei brand, peraltro molto ambizioso, è quello della piena personalizzazione del rapporto col cliente all’interno di un modello fondato sull’omnicanalità. Non dimentichiamo, infatti, che oggi chiunque ha a disposizione svariati canali di contatto con il brand: il punto vendita, che in era pre-covid era quello principale; l’e-commerce, la cui crescita è stata accelerata bruscamente con la pandemia; i canali social, con cui interagire e anche effettuare acquisti; eventuali app e servizi di customer care. Il successo del brand è proprio legato alla sua capacità di soddisfare un cliente che si definisce no-channel, cioè che non ragiona più in termini di canali separati e ‘scarsamente comunicanti’ ma dà per scontata un’esperienza coerente e con forti sinergie tra gli stessi: click-and-collect, acquisto in-store e spedizione del prodotto a casa e consegne on-demand sono alcune manifestazioni concrete di questa sinergia.

Tutto ciò rende l’infrastruttura tecnologica protagonista assoluta del successo del brand: attrarre il consumatore e costruire fidelizzazione è molto più difficile da quando quest’ultimo ha così tante opzioni a portata di mano, può confrontare – direttamente in punto vendita – i prezzi esposti con quelli dei competitor e, soprattutto, può acquistare da un brand concorrente con uno swipe sullo schermo dello smartphone. Mettere a punto una strategia omnicanale e disporre degli strumenti per concretizzarla è un passo fondamentale in termini di customer experience, soprattutto in un periodo in cui – complici le limitazioni sui punti vendita – i percorsi d’acquisto sono ancora più complessi e imprevedibili di un tempo.

Trasformazione digitale: il ruolo dei dati per la personalizzazione dell’esperienza

Come in ogni processo di trasformazione digitale, il punto d’arrivo (che poi conduce a perfezionamenti continui) è la digital company, cioè quella che basa strategie, tattiche e decisioni operative sui dati, essendo quindi in grado di acquisirli e valorizzarli a dovere.

Nel mondo del fashion retail il valore dei dati è inestimabile, è ciò che accompagna il settore verso il suo futuro. L’obiettivo delle strategie dei migliori brand è la personalizzazione del servizio, a prescindere dai canali e dalle modalità con cui si manifesta il customer journey. Sotto questo profilo c’è molta differenza, quanto meno a livello di complessità di implementazione, tra personalizzare un journey online e uno offline (punto vendita): se nel primo caso, lo storico degli acquisti, il tracking delle pagine visitate, i ‘carrelli abbandonati’, le richieste effettuate al contact center o al chatbot di turno forniscono un patrimonio di dati più che abbondante per un’elaborazione analitica, in-store la situazione è più complessa ma la brand experience può essere molto più emozionante e, di conseguenza, anche più appagante in termini di risultati.

A prescindere dal canale, tutto ruota attorno al valore inestimabile dei dati: in punto vendita, sensori dislocati in modo tattico possono identificare i percorsi più comuni permettendo ai gestori di disporvi i prodotti in promozione; è poi possibile installare videocamere che riconoscono genere, età e stile di abbigliamento delle persone, al fine di mostrare offerte personalizzate sui monitor del punto vendita oppure inoltrarle direttamente all’app tramite i beacon; i sistemi di Real Time Location System (TLS) possono accompagnare il cliente verso i prodotti che lo stesso ha cercato più volte nell’e-commerce ma non ha ancora acquistato; gli addetti alla vendita, riconosciuto un cliente tramite carta fedeltà, possono confezionare offerte su misura suggerite dal sistema. Le ipotesi di valorizzazione dei dati ai fini della migliore customer experience sono pressoché infiniti, poiché essi permettono ai brand non solo di servire i propri clienti in modo migliore e più efficace, ma di anticiparne le mosse, comprenderne le esigenze e farsi trovare pronti con linee di prodotto sempre nuove e allineate ai trend del momento. Anche dieci, venti, cinquanta volte all’anno.

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