Il tema dell’impatto sull’occupazione delle nuove tecnologie e, in particolare, di intelligenza artificiale e automazione suscita dibattiti accesi tra chi, da un lato, prospetta un futuro catastrofico con la perdita di migliaia di posti di lavoro e chi, sul versante opposto, minimizza questo aspetto ricordando che, in fondo, tutte le rivoluzioni hanno portato alla scomparsa di alcuni tipi di lavori per crearne di altri.
L’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, nel cercare di capire quale sarà l’impatto sull’occupazione di queste tecnologie, è partito da una prospettiva originale: dopo avere analizzato le dinamiche socio-demografiche del nostro paese, con una visione a 15 anni, le ha prima messe in relazione con la domanda e l’offerta di lavoro, analizzando a questo punto l’impatto dell’AI su uno scenario globale, e successivamente ne ha verificato l’impatto sul sistema previdenziale.
Le domande che i ricercatori si sono poste sono sostanzialmente due: qual è il trend dell’offerta di lavoro e come si inseriscono le tecnologie di AI in questo scenario? Quale sarà l’impatto sul sistema previdenziale della progressiva adozione di soluzioni di job automation abilitate dall’AI?
Who's Who
Giovanni Miragliotta
“Prima di entrare nel merito dell’analisi – ha però precisato Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio – è importante precisare che in tutto il nostro lavoro non parliamo mai di intere professionalità bensì di singoli task. Per questo la nostra unità di misura è il posto di lavoro equivalente sapendo bene che una parte delle singole professionalità potrà essere automatizzata, ma una parte rimarrà inevitabilmente umana”.
Come cambierà il rapporto popolazione / occupazione in Italia
Facendo riferimento ai dati Istat 2018, nel nostro paese la popolazione attiva è di circa 23,3 milioni di lavoratori, con 12,3 milioni di pensionati: “È il numero – ricorda Miragliotta – che rappresenta l’attuale equilibrio tra domanda e offerta di lavoro con due elementi importanti di disallineamento: da una parte vi è una domanda di circa 300.000 posti di lavoro che non trova adeguata offerta (soprattutto per la mancanza di competenze tecniche), dall’altra ormai viaggiamo con un tasso di disoccupazione di poco inferiore all’11%, con picchi del 30% tra i giovani”. È quindi evidente già oggi un mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
Partendo da questi dati, l’Osservatorio ha effettuato una proiezione di quello che potrebbe essere il rapporto tra popolazione attiva e popolazione inattiva tra 15 anni. Ferme restando tutte le variabili geopolitiche, economiche, finanziarie ecc., ipotizzando una sostanziale stabilità nei flussi migratori (all’interno dei quali si presuppone un rapporto popolazione attiva/popolazione inattiva assimilabile a quello italiano), un tasso di natalità costante e mantenendo l’attuale tasso di disoccupazione, ne esce il seguente quadro: “A causa dell’invecchiamento demografico, si perderanno circa 1,4 milioni di lavoratori attivi, aumentando ulteriormente il tasso di dipendenza nel nostro paese [rapporto tra popolazione attiva e inattiva che, in Italia, è superiore di circa 10 punti percentuali alla media europea ndr]”, afferma Miragliotta (figura 1).
Dall’altro versante l’incremento delle aspettative di benessere e la richiesta di aumento di beni e servizi da parte della popolazione immigrata (che stabilizzandosi vedrà aumentare il proprio potere di acquisto) genereranno, secondo le stime dell’Osservatorio, la richiesta di 3,3 milioni di posti di lavoro equivalenti (figura 2); in totale quindi nel 2033 potrebbero mancare alla nostra economia circa 4,7 milioni di posti di lavoro equivalenti.
“In questo scenario è facile comprendere come il potenziale recupero di produttività promesso dall’AI, e più in generale dalla nuova automazione, non sia da vedere come una minaccia, ma anzi come una necessità, prima ancora che una opportunità, se si vogliono mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale”, dichiara Miragliotta .
Come potranno contribuire AI e automazione al lavoro umano
L’Osservatorio è partito da un report molto studiato, A Future that Works di McKinsey (al quale ZeroUno ha dato ampio spazio con due articoli Le tecnologie AI e il complesso rapporto con l’uomo e Sistemi intelligenti così si diffondono e trasformano il mercato del lavoro), che riporta una stima della quota di task che potrebbe essere automatizzata, incrociandolo con i dati Istat 2016 sulla quota di popolazione italiana occupata nei diversi settori. Nell’analisi è stato poi introdotto quanto emerso dalla survey condotta dall’Osservatorio sulla velocità di adozione dell’AI nelle aziende italiane (vedi Intelligenza Artificiale: è importante essere “ai blocchi di partenza”): “Da qui a 15 anni c’è una curva potenziale dell’adozione della tecnologia e, pur nell’incertezza delle dinamiche tecnologiche, porta a stimare che 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti potranno essere sostituiti dalle nuove capacità delle macchine (figure 3 e 4). Questo dato ribilancia il gap atteso tra domanda e offerta, ma lascia comunque un disavanzo pari a circa 1,1 milioni di posti di lavoro, che potrà essere colmato grazie alla riduzione del tasso di disoccupazione, cosa che tuttavia impone un’azione di riconversione e formazione della forza lavoro non occupata. E in tutto questo non è stato introdotto l’impatto positivo della richiesta di nuove professioni, che pure sarà importante”, considera Miragliotta sottolineando che questa situazione, che ribalta le previsioni catastrofiche su un impatto esclusivamente negativo dell’AI sul lavoro, impone però di iniziare a lavorare fin da subito (in primis nella formazione di nuove competenze) per essere pronti a rispondere a queste esigenze.
Quale sarà l’impatto della job automation sul sistema previdenziale
E veniamo alle risposte alla seconda domanda che si è posto l’Osservatorio: “Se, sulla base di quanto abbiamo appena detto, la perdita di 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti non è un problema perché la domanda di lavoro sarà ben superiore, la situazione dal punto di vista previdenziale è molto preoccupante – afferma Miragliotta – perché da qui a 15 anni si prevedono 2,4 milioni di pensionati in più, per coprire i quali servirebbero 4,2 milioni di occupati in più che, come abbiamo visto, non abbiamo”.
Anche in questo caso l’AI diventa una necessità secondo l’Osservatorio perché “consente di aumentare la produttività di coloro che restano per pagare chi va in pensione. Per mantenere invariato l’attuale equilibrio socioeconomico del Paese il tasso medio di crescita della produttività, nei prossimi 15 anni, dovrebbe essere dell’1,5% annuo, un valore molto lontano dalle attuali capacità del nostro sistema economico”. Ecco quindi che l’automazione, abilitata dall’intelligenza artificiale, di alcuni task può contribuire a ridurre il numero di ore necessarie per ottenere uno stesso risultato.
“Tutto questo – prosegue Miragliotta – ci porta, inevitabilmente, a parlare di quelle che sono ormai universalmente considerate le grandi sfide del nuovo secolo. Prima, la revisione del sistema contributivo: occorre realizzare che il lavoro non sarà più la principale fonte di creazione della ricchezza. In passato, nei media, si è parlato di ‘tassare i robot’: in realtà si tratta di ridisegnare il sistema contributivo in un contesto in cui sempre meno persone lavorano, con grandi sproporzioni di reddito e in uno scenario di forte mobilità globale. In secondo luogo, sarà necessario che si superi l’attuale visione del lavoro: le metriche finanziarie e le cifre di merito oggi premiano le imprese che si ‘sbarazzano’ dei lavoratori non più produttivi, senza considerare le esternalità negative e gli effetti sociali e sistemici. Sarà necessario, pertanto, rivedere i sistemi di misura della ricchezza, arrivando forse a superare il PIL e includendo (sia a livello imprese sia a livello sistema) grandezze nuove come l’esistenza di meccanismi di formazione permanente, di protezione e sicurezza sociale, nonché la circolarità dell’economia”.
Il Direttore dell’Osservatorio chiude esortando anche il sistema politico a riflettere su questi temi: “Non è in discussione lo sfruttare o meno le potenzialità che l’AI ci offre: è una necessità. Va però trovato un nuovo equilibrio complessivo, e non ci è permesso temporeggiare: va spostato, con estrema rapidità, il dibattito politico da temi minori e non strategici verso queste fondamentali sfide economiche e sociali”.