Le tecnologie che stanno modificando il settore Media and Entertainment (M&E) sono diverse, ma ce n’è soprattutto una che talvolta è fonte di preoccupazione per chi lavora in questo ampio comparto, l’intelligenza artificiale (AI). Il ricorso ai bot, per esempio, nella stesura di notizie brevi e circostanziate, è considerato da taluni la maggiore minaccia al giornalismo. A scanso di equivoci, perciò, tengo a precisare che il presente articolo non è stato scritto da un software robot.
Come AI e machine learning vengono applicate nel settore M&E
In realtà, le ragioni di una crisi che sta mettendo a dura prova modelli di business consolidati nell’ambito dei media sono più profonde, come abbiamo avuto modo di sottolineare in un altro articolo.
L’intelligenza artificiale, al contrario, è uno degli strumenti con cui, anche in Italia, si sta cercando di aiutare il redattore in alcune attività tipiche quali la verifica delle fonti. Lo dimostra il caso del Secolo XIX che, insieme ad Accenture, ha introdotto in redazione già nel 2018 un intelligent assistant, cioè un algoritmo di machine learning in grado di analizzare e classificare i contenuti. Altre tipologie di applicazione dell’AI al servizio dei media si possono ricavare dalle testimonianze delle due più importanti Media Company italiane raccolte in occasione della presentazione dei risultato dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano. Mediaset utilizza l’AI per avere suggerimenti sui temi di maggiore interesse per il telespettatore e per ottenere insight in tempo reale da diverse fonti, social in primis, in merito al gradimento di certe trasmissioni. La RAI, invece, sta sperimentando sia modelli di speech-to-text per la correzione e la validazione dei sottotitoli sia in ottica di business intelligence, analizzando una mole enorme di news per migliorare l’organizzazione e la clusterizzazione degli argomenti. Ma non c’è soltanto l’intelligenza artificiale tra le tecnologie di frontiera che stanno trasformando radicalmente la filiera M&E.
Dal modello SVOD alle partnership che alimentano la platform economy
La società di ricerche di mercato Kantar ha stilato una lista di 10 tendenze nel suo recente Media Trends and Predictions 2021. Senza citarle tutte, emerge in primo luogo uno spostamento dell’asse dagli investimenti pubblicitari, calati del 35% negli Stati Uniti durante i mesi di aprile e maggio, verso il modello SVOD (subscription video-on-demand). Disney+, per esempio, ha conquistato oltre 60 milioni di abbonati nel suo primo anno di vita.
Ma, nonostante la crescita di questo modello, favorito soprattutto dell’obbligo di restare a casa per esigenze sanitarie, la sottoscrizione oggi si accompagna a un altro fenomeno, quello del “boomerang consumer”, cioè del passaggio sempre più veloce da una piattaforma all’altra che rende problematiche le strategie di engagement sul lungo periodo. Da qui la scelta di partnership come quelle che nel Regno Unito hanno messo insieme nella stessa offerta Sky e Netflix oppure Disney+ e O2. Quest’ultima alleanza, in particolare, grazie alla quale il colosso americano dell’intrattenimento ha stretto un accordo con la compagnia telefonica britannica, rappresenta una delle tante varianti di quella che oggi viene definita platform economy. L’economia della piattaforma è una dimensione trasversale che unisce industry differenti.
Nel caso di Media e Telco, fa in modo che le esigenze infrastrutturali di entrambe convergano per rispondere in un caso alla diffusione dei contenuti su ampia scala e in chiave multi device, nell’altro alla dotazione della connettività che occorre per trasmettere i suddetti contenuti.
5G, la tecnologia che abilita la convergenza di M&E con le altre industry
Alla luce di quanto detto sopra si capisce perché il 5G e lo standard Wi-Fi 6 di nuova generazione, noto anche come 802.11ax, vadano considerate tecnologie che non cambieranno soltanto l’offerta delle aziende di telecomunicazione, ma anche quella delle Media Company. Come sottolinea Deloitte nel suo ultimo outlook sul settore Media and Entertainment, il 5G “promette una convergenza ancora maggiore tra video, giochi e musica grazie alle sue velocità più elevate e alla minore latenza. Se combinato con i progressi dell’intelligenza artificiale, della realtà aumentata e della realtà virtuale, e dei servizi basati sulla localizzazione, il 5G ha il potenziale per ridefinire l’intrattenimento e accelerare il remixing”.
Per spiegare il concetto di “remixing” collegato all’intrattenimento, Deloitte cita l’esempio dell’incrocio tra musica e videogiochi che ha visto nell’aprile 2020 il rapper Travis Scott mettere in scena un concerto virtuale all’interno del videogioco Fortnite. Il concerto ha attirato un totale di 27,7 milioni di giocatori unici, diventando per Epic Games, la società che ha sviluppato Fortnite, l’evento di maggior successo di sempre. Per il singolo del rapper, intitolato “The Scotts”, ha significato il posizionamento al primo posto nella principale classifica dell’industria discografica americana, la Billboard Hot 100. Un altro caso è stato quello del festival musicale Block By Blockwest, in cui Massive Attack, Pussy Riot e altre band si sono esibite all’interno del videogioco Minecraft. Sotto il peso di oltre 100 mila utenti collegati simultaneamente, la piattaforma è collassata, costringendo l’organizzazione a posticipare il live streaming. A riprova della rilevanza che oggi assume un’infrastruttura tecnologica resiliente, come quella del 5G che può mettere insieme cloud ed edge computing, per assicurare la diffusione dei contenuti.
Verso un mercato dei media più distribuito e trasparente con la blockchain
Sempre dal mondo musicale arriva una delle maggiori novità in cui una tecnologia nata per scopi differenti sta trovando un campo di applicazione promettente. Si tratta della blockchain e dei sistemi di distributed ledger, conosciuti soprattutto nell’ambito delle criptovalute e dei bitcoin, che oggi permettono agli artisti di avere piena tracciabilità dei loro brani in streaming, senza l’intermediazione delle etichette discografiche o ridimensionando il loro strapotere contrattuale.
Vezt, per esempio, è un’app con la quale è possibile condividere i diritti d’autore non solo tra artisti e produttori, ma addirittura tra gli stessi fan che determinano il successo di una canzone. Tutte le royalties sono raccolte e tracciate dall’applicazione proprio attraverso una tecnologia di blockchain proprietaria. Una rivoluzione dell’industria discografica alla quale anche le major stanno partecipando, tant’è vero che Vezt è supportata da Sony e BMG.
Ma la musica non è l’unico comparto in cui il modello della “catena dei blocchi” sta portando una forte innovazione sia per la tutela della proprietà intellettuale sia per una sostenibilità economica alternativa basata sulla raccolta fondi. Anche la produzione di cortometraggi e di video concepiti per i media digitali può trarre vantaggio dalla blockchain. Streambed è un motore di analisi che opera in questa direzione, utilizzando la tecnologia blockchain per collegare i contenuti su Internet e aggregare diverse versioni dello stesso video, inclusi remix, meme, clip, compilation ecc. In tal modo consente di avere un quadro chiaro della effettiva viralità dei video, dando a coloro che li hanno realizzati a vario titolo gli strumenti per vedersi riconosciuti i diritti di utilizzo. In definitiva, l’impiego della blockchain per monetizzare i micro contenuti rappresenta il prossimo step di un mercato M&E sempre più distribuito e decentralizzato.