Mobilità sostenibile e smart mobility potrebbero considerarsi quasi dei sinonimi, seppure pongono l’accento su due elementi differenti del futuro della mobilità. Nel primo caso, il concetto di sostenibilità si riferisce a come dovrebbe essere un modello di trasporto sicuro e accessibile, che tenga conto specialmente delle esigenze delle persone con maggiore vulnerabilità, come evidenziato nel sotto-obiettivo 11.2 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Nel secondo, l’accezione smart fa riferimento alle tecnologie in grado di rendere “intelligente”, e quindi maggiormente sostenibile, questo tipo di mobilità. Si tratta di tecnologie che vanno considerate come parte di un unico ecosistema, e non singolarmente, come del resto si evince dai 17 macro obiettivi di Agenda 2030, ognuno dei quali è interdipendente dagli altri. Per fare un esempio, l’accesso ai sistemi di trasporto sicuri, accessibili e sostenibili del punto 11.2 è strettamente correlato al sotto-obiettivo 9.1 che punta a sviluppare la qualità delle infrastrutture rendendole affidabili, sostenibili e resilienti, comprese le infrastrutture regionali e transfrontaliere. Un analogo criterio si ricava dalle 6 Missioni previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), segno che la mobilità sostenibile o smart necessita di una visione organica in cui non possono fare eccezione le varie tecnologie che la abilitano.
Ecco perché occorre una visione complessiva e non parziale
Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA, in una intervista di qualche mese fa su questa stessa testata, aveva rimarcato il carattere sistemico e non parcellizzato che deve ispirare l’idea di smart city, luogo d’eccellenza chiamato a fare propri i cardini di una mobilità realmente sostenibile. “Non sono i semafori intelligenti o la singola tecnologia – aveva affermato – a rendere smart la città, ma è la sua visione complessiva. Smart city è la città che usa al meglio le nuove tecnologie per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità del 2030”.
A sostegno di questa osservazione, aveva portato il caso di Firenze, sul podio di iCity Rank 2020 come centro con il livello di digitalizzazione tra i più avanzati d’Italia. Dominici sottolineava che il capoluogo toscano “è stata la prima città, seguita da Venezia, che si è dotata di una data room, una piattaforma dove le diverse informazioni che arrivano dai diversi attori, che siano quelli del trasporto pubblico o del gas, vengono gestite in una logica di emergenza e in termini di programmazione. Firenze, quando ha rilasciato i permessi per gli operatori privati che noleggiano monopattini e bici elettriche, ha chiesto di avere in cambio i loro dati aggregati per capire come ci si muove nel territorio comunale”.
Smart City Control Room per gestire al meglio la mobilità
Nell’elenco delle tecnologie che contribuiscono a rendere sostenibile la mobilità, perciò, un posto di rilievo è occupato dalla Smart City Control Room i cui principi cardine, secondo quanto riporta il Libro Bianco delle Responsive Cities 2020 di FPA, vertono sulla condivisione: “condivisione di dati, delle modalità di analisi, dei modelli interpretativi e delle misure di intervento da parte dei diversi soggetti coinvolti, perlopiù gestori di reti e servizi pubblici, oltre che attori amministrativi”. Da qui i suoi vantaggi, che “risiedono nell’opportunità di avere informazioni puntuali basate su dati in real time; nella possibilità di coordinare efficacemente gli interventi, potendo attribuire da un’unica sala di comando in cui risiedono i diversi attori delle utilities responsabilità e competenze; nell’opportunità di comunicare rapidamente a cittadini il sopraggiungere di criticità evitando l’aggravarsi del rischio”.
Le piattaforme di gestione dei big data, sempre più munite di tecnologie di intelligenza artificiale con cui organizzare una mole di informazioni altrimenti inintelligibile, sono alla base di ciò che viene definito un approccio di policy coherence che investe svariati ambiti: pianificazione urbana, programmazione e finanziamento degli investimenti pubblici, profili di salute e sicurezza pubblica, impatto ambientale ecc. Solo così è possibile avere un quadro d’insieme che faccia conoscere agli amministratori locali tasso di inquinamento e adeguatezza dei servizi di Trasporto Pubblico Locale (TPL), per citare due delle sfide più concrete sul fronte della mobilità sostenibile. Una conoscenza essenziale ai fini di una pianificazione idonea di mezzi, risorse e capitali.
Le reti di comunicazione V2X al centro del Connected Car
Se la Smart City Control Room è il cuore della nuova municipalità odierna, che raccoglie tutto ciò che occorre per comprendere e definire una mobilità a misura di cittadino, sono tantissime le estremità da cui arrivano i dati che confluiscono nella “stanza dei bottoni”. Tramite sistemi IoT (Internet of Things) sempre più diffusi, i semafori diventano smart perché si sincronizzano sul flusso reale del traffico e i parcheggi possono essere prenotati potendo verificare la loro effettiva disponibilità prima di arrivare in loco.
Ma anche le auto sono sempre più connesse, tanto che l’ultimo Osservatorio Connected Car & Mobility della School of Management del Politecnico di Milano ha stimato che nel 2020 il mercato che si riferisce a questo comparto valeva 1,8 miliardi di euro. In tale mercato le reti di comunicazione V2X consentono ai veicoli di comunicare fra di loro (V2V, Vehicle to Vehicle), di comunicare con l’infrastruttura a bordo strada (V2I – Vehicle to Infrastructure), di comunicare persino con i pedoni (V2P, Vehicle to Pedestrian). L’interesse per il mondo Connected Car e, più in generale, per la smart mobility, non è stato neppure attenuato dall’emergenza pandemica. L’85% dei Comuni con più di 15 mila abitanti interpellati dall’Osservatorio considera la smart mobility un tema rilevante o fondamentale, reso nel 42% del campione addirittura prioritario a causa del Covid-19. Confrontando i progetti di mobilità sostenibile e intelligente con quelli che intendono trasformare la città in smart city, i primi risultano più avanzati: il 14% si trova in una fase pilota e ben il 50% già operativo, contro il 25% delle iniziative di smart city.
Viterbo, un esempio di Comune virtuoso nella e-mobility
Un esempio di “Comune virtuoso” sul versante della e-mobility, cioè di mobilità elettrica, è quello di Viterbo. È l’unico che al momento è riuscito ad accedere con priorità al Piano della mobilità elettrica messo a disposizione da Enel X rispettando tutti i requisiti richiesti dal protocollo d’intesa. In particolare, il Comune di Viterbo ha installato in tempi record i primi 34 punti di ricarica a uso pubblico, raggiungendo quota 42. Ma l’installazione delle colonnine è stato solo l’esito finale di un mix di fattori organizzativi e tecnologici che hanno decretato il primato del capoluogo laziale.
Gli altri requisiti, che l’amministrazione viterbese è stata in grado di rispettare, includono la predisposizione di un Piano urbano della mobilità organico in cui i punti di ricarica siano collocati nei pressi di siti istituzionali e strategici, la celerità e snellezza amministrativa nella gestione delle procedure, il coinvolgimento dei principali enti locali con apposite politiche di incentivazione per l’utilizzo dei veicoli a zero emissioni. La mobilità elettrica è uno dei perni su cui la mobilità sostenibile ruoterà nei prossimi anni e infatti Enel X intende implementare entro la fine di quest’anno oltre 14 mila punti di ricarica. Le infrastrutture di ricarica potranno essere individuate, prenotate e utilizzate su tutte le piattaforme degli operatori. A riprova del fatto che la mobilità del futuro non potrà che essere connessa.