Dopo un triennio di crescita la blockchain nel 2020 segna una battuta di arresto, ma solo nei progetti annunciati, quelli operativi continuano a crescere mentre con la pandemia l’intelligenza artificiale esplode, grazie soprattutto alle iniziative in ambito sanitario. Entrambe le tecnologie, con diversi tempi e modalità, stanno penetrando nel settore pubblico con un forte impatto soprattutto sul rapporto tra PA e cittadini. È su di esse che si focalizza la ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano mettendo in luce, per voce del suo responsabile Luca Gastaldi, la necessità non solo di avere “il back office a posto” ma anche competenze adeguate “per investire con pragmatismo e senza correre dietro alle chimere”.
Blockchain va in stand by per la pandemia
Annoverata tra i trend digitali più interessanti nei prossimi anni, la blockchain è una delle due principali wave tecnologiche di fronte alla quale il settore pubblico si è dimostrato particolarmente ricettivo. A livello mondiale sono 264 i progetti su di essa basati, sviluppati dalle PA da inizio 2017 a fine ottobre 2020, con una predominanza dell’Asia (88) e l’Europa al secondo posto (82) che supera l’America ferma a 72. Nella maggior parte dei casi la blockchain viene impiegata per migliorare le modalità di erogazione dei servizi ai cittadini (207 progetti su 264) e per rendere più efficienti i meccanismi interni alla PA (145 su 264) ma quasi la metà dei progetti mira anche ad ottimizzare il rapporto con le imprese. Il 39% dei progetti censiti nella ricerca supportano i processi di gestione dello scambio di dati e documenti, impattando spesso sulle relazioni tra PA e cittadini, c’è poi un altro 13% di iniziative che riguardano gli aspetti logistici delle risorse amministrate dalla PA e un 11% relativo alla gestione del voto e dell’identità.
Globalmente, nel triennio 2017-2019 i progetti sono cresciuti del 293% per poi frenare nel 2020 (-58%) ma il secco rallentamento riguarda solo i progetti rimasti in fase di annuncio perché quelli operativi e in fase prototipale segnano un trend costante e positivo (9 nel 2017, 29 nel 2018, 34 nel 2019, 32 nel 2020). Una volta sfumata l’emergenza sanitaria, i progetti solo annunciati potrebbero tornare ad aumentare e restano comunque la parte preponderante di quelli rilevati nel mondo (61%) a cui seguono quelli in fase prototipale (28%) mentre si fermano all’11% i progetti operativi. I numeri mettono in luce l’immaturità applicativa di questa tecnologia che emerge anche dalla situazione italiana. Sono 22 i progetti avviati nel Paese di cui 4 operativi, 8 proof of concept e i restanti solo annunciati ma in tutti i casi le protagoniste sono quasi sempre le PA centrali, più strutturate e con maggiori risorse umane e finanziarie per sviluppare iniziative che enti minori faticherebbero a implementare.
L’Artificial Intelligence cresce grazie al sanitario
Con 16 progetti, tra annunciati (7), proof of concept (5) e operativi (4), l’Italia compare come uno dei Paesi europei più attivi nella sperimentazione dell’AI in ambito pubblico. Attorno a questa tecnologia c’è grande fermento e il settore della PA è uno dei più attivi con il doppio ruolo di regolatore e possibile fruitore. Dal censimento condotto dall’Osservatorio, nel mondo sono emersi 208 progetti sviluppati dalle PA tra inizio 2018 e fine ottobre 2020, di cui oltre la metà in America (107) mentre l’Europa è il secondo continente più attivo con il doppio dei progetti dell’Asia (rispettivamente 63 e 30).
Al contrario di quanto registrato per la blockchain, per l’AI il 2020 è stato un anno di forte crescita: il numero di iniziative avviate, 116, ha fatto un balzo in avanti del 147% rispetto al 2019 in cui ne erano nate 47. E’ poi sempre nel 2020 che il 68% di progetti annunciati sono stati pubblicati, in totale essi rappresentano il 34% di quelli censiti mentre il 37% è in fase di proof of concept e il 29% già pienamente operativo.
Si può tranquillamente parlare di effetto Covid diretto, perché il numero più consistente di sperimentazioni riguarda il settore sanitario (31%) e ha visto la luce nel 2020 quando, per far fronte all’emergenza sanitaria, sono state messe in campo sia programmi di computer vision, per l’analisi delle radiografie polmonari, sia chatbot a supporto dei centralini medici intasati. Le soluzioni che estraggono informazioni dalle immagini (29%) hanno superato infatti quelle focalizzate su dati strutturati e non (27%) mentre i chatbot si sono fermati al 16%. Sviluppati sia per le municipalità che in ambito ospedaliero, proprio i chatbot sono un esempio della seconda tipologia di applicazione dell’AI più frequentemente incontrata nell’indagine dell’Osservatorio, quella che la pone a supporto dell’erogazione dei servizi per i cittadini. Soluzioni di questo tipo rappresentano il 29% mentre il 31% affianca il decisore pubblico nell’assegnare priorità a determinate azioni e obiettivi per migliorare attività già esistenti e il 22% riguarda il processo di decision making in cui la raccolta e l’elaborazione “intelligente” dei dati diventa fondamentale per indirizzare nuove politiche.
Le urgenze tecnologiche dello smart working
Alle due wave tecnologiche già predominanti nel settore in epoca pre – Covid, altre se ne vanno ad aggiungere, esplicitamente indotte dall’emergenza sanitaria e dallo smart working forzato che ha portato il numero dei lavoratori da remoto da 44.000 nel 2019 a 2 milioni in pieno lockdown per poi stabilizzarsi attorno a 1,3 milioni a settembre 2020. Il dover rendere in pochi giorni il 94% dei dipendenti in grado di operare dalle proprie case ha spinto fortemente l’adozione di tutti gli strumenti di comunicazione, collaborazione e produttività condivisa che, secondo Gastaldi, “vedranno un’ulteriore accelerazione nei prossimi mesi, dato l’affermarsi, con la seconda ondata, di nuove modalità di lavoro non più passeggere ed emergenziali”.
Il brusco passaggio allo smart working ha messo in luce anche la profonda inadeguatezza della dotazione tecnologica del settore che è corso ai ripari ampliando la propria dotazione hardware (42%) e software (49%) e adottando politiche di Bring Your Own Device. Se 3 PA su 4 hanno scelto questa via, solo il 38% di esse ha poi sviluppato iniziative per l’accesso sicuro a dati e applicazioni, ma di fronte ad un aumento degli attacchi malware e di compromissioni dati è poi maturata la consapevolezza dell’importanza di investire in soluzioni cybersecurity. A confermare tale necessità anche i dati AgiD relativi ai test richiesti dal Piano triennale per l’informatica 2020-2022 da cui emerge che solo il 9% dei domini pubblici è sufficientemente sicuro mentre il 67% presenta “gravi problemi” e il 22% dei siti è “mal configurato”.
Il 2021 dovrà essere l’anno del cloud
Un’altra impellente urgenza legata allo smart working è il passaggio al cloud, a breve termine indispensabile per permettere alle persone di lavorare da remoto ma a medio-lungo termine necessario per fare in modo, come spiega Gastaldi, “di rendere la PA un unico ente e non una insieme di migliaia di enti che non si parlano tra loro”. Il 2021 sarà certamente l’anno del cloud quindi, secondo Gastaldi, e “lo dovrà per forza essere visto come finora molti enti locali si sono mostrati impermeabili alle azioni proposte, seppur ben calibrate ai loro bisogni. Si tratta di dismettere circa 11.000 data center delle PA e far convergere i dati su due o tre poli strategici nazionali, operazione su cui siamo molto indietro”. Solo l’11% dei comuni dichiara infatti di aver terminato, iniziato o almeno pianificato la migrazione. C’è una certa reticenza nei confronti del Piano Cloud stesso, la strategia di AgiD per ora sfruttata solo dal 14% dei comuni e ancora del tutto ignota a 1 PA su 4.
Affianco al già annunciato cloud, nel 2021 secondo Gastaldi emergerà anche un’altra nuova tecnologia strettamente legata allo sviluppo delle smart cities: quella dei droni. “La pandemia ne ha fatto comprendere l’importanza soprattutto nei contesti urbani. Nell’impossibilità di erogare alcuni servizi a causa delle misure per il distanziamento sociale, si sono utilizzati i droni sia per effettuare controlli che per garantire la continuità di alcuni specifiche attività. Sono sicuramente un interessante trend tecnologico a cui dedicare attenzione e per cui si sta cominciando già ad avvertire l’esigenza di una normativa chiara e adatta all’attuale contesto”.